Sollecitata da un gruppo di associazioni, la Commissione europea organizza per il 16 settembre prossimo il primo vertice dedicato ai rom. Ovvero come mettere in moto una politica globale per migliorare la situazione della più grande minoranza etnica d’Europa.
In che modo si può favorire l’inclusione degli europei di origine rom nel continente? Dal 2004, con l’ingresso di dieci nuovi Paesi membri nell’Ue, la questione è diventata sempre più urgente. Mentre a Bruxelles giungono i dati relativi alla situazione sanitaria e sociale di questa popolazione, i sondaggi rivelano il distacco crescente tra i rom e i loro vicini, di qualsiasi nazionalità essi siano.
Il prossimo vertice tenterà di definire una politica europea coerente contro la discriminazione di origine etnica e di «determinare le misure che sono risultate efficaci». Poiché considerato dalla parte dei rom, il bilancio è critico.
Milioni di rom in un’Unione europea allargata. Se è vero che la popolazione Rom in seno all’Ue è notevolmente aumentata negli ultimi quattro anni, in modo particolare a seguito dell’ingresso dell’Ungheria e della Slovacchia, è anche vero che i dati disponibili sulla quantificazione di questa comunità sono pochissimi: «In una prima relazione sulla situazione dei rom nell’Unione europea allargata, pubblicata nel 2004, si evidenzia che la popolazione rom europea è costituita da qualche decina di milioni di individui».
Tuttavia, prosegue il testo, «non si dispone di dati demografici precisi, a causa dei pregiudizi sull’identità rom e della reticenza di un buon numero di rom ad identificarsi ufficialmente come tali, oltre al rifiuto da parte di numerosi governi di includere i rom in quanto categoria legittima ai fini del censimento».
Ci sarebbero tuttavia più rom sparsi in Europa che abitanti in alcuni Stati membri. Mille volte affrontata, la questione è tristemente famosa. Il documento sul quale lavoreranno i 350 rappresentanti delle istituzioni europee, dei governi e dei parlamenti degli Stati membri e della società civile in occasione del prossimo vertice, e disponibile sul sito della Commissione dal 2 luglio scorso, riprende questa realtà grazie a qualche studio più recente, ma in ogni caso con pochi numeri alla mano.
Milioni di europei di origine rom rappresentano un’esclusione sociale di grandi dimensioni, chiarisce la relazione: «La ricchezza di cui potrebbero farsi portatori in seno alla società europea è spesso disdegnata perché intrisa di stereotipi e pregiudizi che si manifestano sotto forma di discriminazione economica, sociale e politica».
Un razzismo duro a morire. Il tasso di disoccupazione molto elevato tra la popolazione rom è uno degli elementi più allarmanti, poiché non lavorare isola socialmente. In linea generale, lo stato di salute delle comunità rom è molto più bassa rispetto alla media nazionale dei Paesi ospitanti, con un’aspettativa di vita inferiore di dieci anni. Per quel che riguarda la sfera educativa, il futuro non fa presagire niente di buono. I rom costituiscono una popolazione estremamente giovane, composta da una maggioranza di individui con meno di 20 anni.
Ma spesso, il punto di riferimento dei giovani non è rappresentato da un’istituzione. In alcuni Paesi, trascorrono gran parte della loro vita scolastica in istituti per portatori di handicap fisici o mentali.
Da vent’anni, le associazioni per i diritti umani lanciano l’allarme. D’altronde, la “questione rom” è ormai nota: il 77% degli europei ritiene che in seno alla società i rom siano penalizzati, quasi quanto i portatori di handicap (79%).
Tuttavia, alcuni sondaggi condotti nel 2008 rivelano che un quarto degli europei proverebbe imbarazzo all’idea di avere un rom come vicino di casa (il 24% degli europei ha risposto in questo senso, contro il 6% che invece ha dichiarato di sentirsi imbarazzato all’idea di vivere vicino ad un individuo di origine etnica diversa dalla propria, senza precisare quale).
In alcuni Paesi, come la Repubblica Ceca e l’Italia, la percentuale è ancora più alta: in queste realtà, la metà degli intervistati non sarebbe contento di avere un rom come vicino. «Alcuni studi condotti da esponenti della società civile rivelano che “l’anti-gypsism” è una forma di razzismo ben definita, basata sulla “delegittimazione” e sull’ “esclusione morale”», spiega ancora la Commissione.
Cosa può fare l’ Europa? In seguito alla pressione esercitata da un nuovo gruppo di organizzazioni che si batte a favore di una politica pro rom in Europa (l’Eu Roma policy coalition, fondata nel marzo 2008), il prossimo vertice europeo avrà l’obiettivo di rispondere alla necessità urgente di una strategia globale e coerente.
«Gli strumenti servono a migliorare la situazione», afferma la Commissione, «ma tutte le forze devono risultare unite per coordinare gli sforzi». Di quali strumenti si tratta? Dei Fondi strutturali europei (il Fondo sociale europeo, Fse per esempio) gli strumenti di preadesione svolgono un ruolo fondamentale per sconfiggere l’esclusione: «Infatti, tra il 2000 e il 2006, ben 275 milioni di euro provenienti dal Fse sono stati destinati a progetti specifici per i rom, un altro miliardo di euro a gruppi deboli, tra cui i Rom», valutano gli specialisti della Commissione.
Nella lotta contro il razzismo, i poteri conferiti all’Ue le hanno permesso di legiferare «in materia di parità di trattamento senza alcuna distinzione di razza o origine etnica» (direttiva 2000/43/CE) e «di accertarsi dell’effettiva attuazione del diritto comunitario»: «Tuttavia, molti dei temi cruciali all’integrazione dei rom dipendono dalla competenza degli Stati membri (educazione, occupazione, integrazione sociale, per esempio). Su questi temi, l’Unione può solo avere funzione di coordinamento delle politiche degli Stati membri e sostenere la loro applicazione grazie anche ai Fondi strutturali».
Lasciare la responsabilità agli Stati membri, ecco cosa non reputano conveniente i militanti del gruppo di organizzazioni. E non hanno tardato a farlo sapere: «Poiché le violenze nei confronti dei rom aumentano, in modo particolare in Italia, mai come ora è giunto il momento di parlare con un'unica voce e di proporre una strategia e un impegno a lungo termine», afferma Nicolas Beger della sezione Ue di Amnesty International. Questo vertice europeo potrà rappresentare finalmente una svolta? di Jane Mery
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