Ci sono cinque bambini che hanno una colpa. Quella di essere nomadi sinti nati in Italia. E c'è un'amministrazione municipale senza cuore che li ha messi nel mirino fino a rendere loro impossibile un vita normale.
E' una storia da raccontare quella di Cristina (14 anni), Michele (11), Luca (8), Anastasia (4 anni) e Mattia, nato il 12 dicembre 2007, ai quali un comune della nostra provincia di Brescia, Chiari, nega la residenza. Una storia nella quale il cinismo delle decisioni e dei proclami della politica si scontra con l'attenzione nei confronti degli ultimi e dei meno fortunati e con l'umanità che sempre dovrebbe regolare i nostri comportamenti.
Questi cinque fratelli, insieme con i genitori e la nonna sono, di fatto, dei fantasmi. Non esistono. O meglio: esistono per il dirigente scolastico e gli insegnanti delle scuole che li hanno comunque accolti garantendo loro la continuità delle lezioni, ma non esistono per l'amministrazione comunale di Chiari che, nell'agosto del 2006, ha consegnato l’ingiunzione di sgombero a questa e ad altre quattro famiglie dal “campo nomadi” costruito dalla giunta precedente. La decisione non ha mancato di suscitare polemiche in paese (leggi qui).
E' bene precisare quindi che la storia di vita di questi bambini non è ambientata negli insediamenti abusivi che il ministro degli interni Roberto Maroni intende smantellare e per i quali il governo applica la linea della "tolleranza zero". No. Questa famiglia, fino al 2004, era legalmente residente in un'area sulla quale la precedente amministrazione comunale (nel 2001) utilizzando un finanziamento regionale aveva anche collocato cinque casette.
Un luogo nel quale c'era anche un prefabbbricato della Caritas, smantellato pure quello con ordinanza urgente del sindaco nel febbraio del 2007, dopo essere stato usato per anni come doposcuola per i 12 bambini.
Ma le cose cambiano. Repentinamente. E quasi sempre peggiorano soprattutto per i più deboli. Nel 2004 a Chiari è stato approvato il regolamento comunale per il funzionamento del “campo nomadi” di via Roccafranca che, tra l'altro, conteneva indicazioni quali il divieto di ricevere visite da parte delle famiglie, l'obbligo di comunicare eventuali spostamenti al di fuori dei confini comunali di Chiari (per un periodo superiore ai 15 giorni), il versamento cauzionale di 500 euro da parte di ogni famiglia e il divieto di tenere all'interno del campo le roulotte. Non era facile rispettarlo.
Carte alla mano, l'amministrazione comunale non ha quindi rinnovato il permesso di permanenza e, nell'agosto del 2006, è stata consegnata l'ordinanza di sgombero. Da quel momento in poi, per i bambini, la strada ha cominciato a essere in salita. Come racconta chi ha vissuto queste vicende come Giorgia, del gruppo volontariato nomadi costituito all'interno della Caritas parrocchiale di Chiari, che parla per esempio di costanti controlli da parte della polizia locale, a qualsiasi ora del giorno e della notte.
L'atto finale di questa storia è stato il 25 settembre del 2007, quando il sindaco di Chiari - il neosenatore del Carroccio Sandro Mazzatorta - ha ordinato la cancellazione della residenza. Le cose si sono complicate anche perché, nel frattempo, Nadia (la mamma) aspettava il quinto bambino. Una gravidanza difficile per la quale i servizi sociali del comune si sono dichiarati non competenti perché la famiglia non era più residente a Chiari.
Il 21 dicembre 2007 Nadia si è sentita male per strada, raccontano alla Caritas, ed è stata ricoverata d'urgenza all'ospedale di Seriate che dispone del reparto di patologia neonatale; è nato Mattia. Prematuro. Ma è nato. Il tribunale per i minorenni, viste le condizioni di vita dei suoi congiunti, ha deciso di affidarlo ad una famiglia di Seriate che lo ha in affido a tutt'oggi.
Si potrebbero raccontare anche i ricorsi al Tar dai quali l'amministrazione è uscita vincente (leggi qui), la richiesta di concessione di residenza inoltrata al primo cittadino di Chiari da varie autorità anche istituzionali. E si potrebbero raccontare anche gli atti vandalici ai danni della tenda sotto la quale vive questa famiglia che gira per la provincia a bordo di un furgoncino usato dal padre per trasportare il ferro.
Ma tutto questo non cambia la sostanza: il problema non può essere solo politico, ma è prima di tutto umanitario. Ci sono cinque bambini che hanno solo la colpa di essere sinti italiani e ai quali viene negata la residenza. L'inverno è alle porte. Vivere in una tenda o a bordo di un furgone non è il massimo. E neppure dover girare di comune in comune sperando di non essere allontanati. di Elisabetta Reguitti
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