“Nell’Unione Europea le frontiere nazionali diventeranno virtuali: vedrete che questo risolverà anche i problemi delle minoranze etniche come quella ungherese vivente in Slovacchia.” – queste erano le profezie ricorrenti di politici, esperti e intellettuali alla vigilia dell’ampliamento dell’UE del 2004. Oggi, a quattro anni di distanza da questo vaticinio ufficiale, dobbiamo constatare con rammarico che in certi casi sta avvenendo addirittura il contrario: è proprio il caso della Slovacchia a dimostrare che, almeno nello stato attuale, la comunità europea non è in grado di affrontare dovutamente i particolari fenomeni di razzismo legati alla realtà dell’Europa centro-est.
Con l’ingresso dei 10 nel 2004, l’Unione ha ereditato anche una serie di conflitti risalenti alle guerre e ai trattati di pace del Novecento, mai risolti in maniera rassicurante in questa parte del nostro Continente. Il problema della minoranza etnica ungherese della Slovacchia risale al 1920, quando il dettato di pace di Trianon distaccò le regioni settentrionali del Regno d’Ungheria per creare uno stato nuovo, la Cecoslovacchia. Dopo espatriazioni di massa e tentativi vari di assimilazione forzata, la minoranza ungherese di Slovacchia oggi conta circa mezzo milione di anime (un decimo della popolazione slovacca) che conservano con orgoglio la loro identità culturale diversa. Dopo promettenti tendenze di pacificazione, negli ultimi due anni questa minoranza sta diventando il bersaglio principale della retorica nazionalista del governo slovacco attuale.
Vincitrice delle elezioni nel 2006, la coalizione esecutiva di Robert Fico comprende, accanto al partito dello stesso premier, lo SMER di vocazione social-democratica, due partiti nazionalisti radicali, fra i quali l’SNS di Ján Slota (in foto) occupa posizioni chiave nella politica culturale ed estera del Paese e influenza in una maniera crescente l’opinione pubblica slovacca. Subito dopo l’avvento al potere di questa coalizione di “sinistra nazionalista” si è registrato il rafforzarsi dei movimenti estremisti giovanili, che si manifestava innanzitutto in una serie di aggressioni fisiche contro ungheresi e altri stranieri, per motivi puramente ideologici. Nella serie di tali eventi spicca il caso, tuttora non risolto, della studentessa Hedvig Malina, ricordato più volte anche da Voce d’Italia.
Da allora la tensione cresce costantemente. I leader di SNS sembrano cercare costantemente il confronto: uno è rappresentato dalla propaganda verbale del leader Slota, che nelle sue orazioni politiche ricorre spesso agli attacchi contro i suoi “capri espiatori” preferiti, gli Ungheresi di Slovacchia e la stessa Ungheria; l’altro è il campo della politica culturale, in cui il Ministro attuale della pubblica istruzione ha già compiuto passi considerevoli per ribaltare il delicato equilibrio raggiunto negli anni scorsi fra Slovacchi e Magiari.
Si tratta prevalentemente di nuove limitazioni dell’uso della lingua madre delle minoranze, della discriminazione delle scuole di lingua ungherese nella distribuzione dei fondi europei, a cui si è aggiunta ora, a settembre la “riforma” dei testi scolastici di storia, geografia e letteratura, preparati per gli alunni delle scuole ungheresi, in cui da ora in poi le città della Slovacchia saranno menzionate esclusivamente con il nome slovacco, anche se si tratta di località di fondazione ungherese o abitate attualmente da una maggioranza ungherese.
Il cambiamento corrisponde, secondo il governo Fico, alle norme della nuova legge sull’uso della lingua in Slovacchia. Sarà vero; è chiaro in ogni caso che le restrizioni dell’uso libero della lingua ungherese corrispondono senz’altro alle aspettative maggioritarie della popolazione di identità slovacca, nel seno della quale si registrano oggi sentimenti xenofobi più forti che mai. Secondo un sondaggio recente, fra gli allievi slovacchi delle scuole medie è diffusissima l’avversione contro gli Ungheresi, che oggi risultano più odiati anche dei Rom e, secondo lo stesso sondaggio, la grande maggioranza degli adolescenti slovacchi pensa che l’uso della lingua ungherese in luogo pubblico dovrebbe essere proibito.
Mentre la diplomazia ungherese compie passi titubanti per impedire l’esasperarsi della situazione, Ján Slota sembra fare una virtù degli insulti sempre più ridondanti contro l’Ungheria stessa. Dopo aver ricordato il re medievale fondatore dello stato ungherese come “pagliaccio a cavallo” e il Ministro degli Esteri ungherese attuale, Kinga Göncz, “buona donna spettinata”, Slota ormai accusa l’Ungheria di tendenze revisionistiche e di nascoste tendenze di nazismo. D’altronde, secondo una sua detta ripetuta con predilezione, “la patria degli Ungheresi si trova nel Deserto Gobi e non nel Bacino dei Carpazi”.
Quando, la settimana scorsa, in seguito alla riforma slovacca dei testi scolastici, Kinga Göncz ha chiamato a rapporto l’ambasciatore della Slovacchia, il governo Fico si è dichiarato unanimamente “scioccato” da questo “tentativo di intervento ungherese negli affari interni della Slovacchia” e Slota ha parlato di “quella disgraziata”, in riferimento al capo della diplomazia ungherese.
José Manuel Barroso alcuni mesi fa ha dichiarato che gli attacchi xenofobi di Ján Slota non riguardano Bruxelles, perché sono da considerare un “affare interno slovacco”. Ma intanto il conflitto delle due nazioni europee si esaspera giorno dopo giorno, contribuendo a rafforzare anche le opinioni scettiche nei confronti dell’Unione. di Agnes Bencze
Nessun commento:
Posta un commento