lunedì 24 novembre 2008

Magenta (MI), cacciati perchè Sinti

Negli ultimi mesi sono decine e decine gli sgomberi subiti da Sinti italiani, soprattutto nel Nord Italia. Sono talmente tanti che non riusciamo più a darne notizia. Molti di questi sgomberi avvengono senza che nemmeno i giornali ne parlino.
CiitàOggiWeb, quotidiano del Magentino, Castanese, Alto Milanese e Sempione, ha pubblicato la lettera di una lettrice, Roberta Orpelletti, dopo lo sgombero di 14 Cittadini italiani, appartenenti alla minoranza dei Sinti lombardi. Lo sgombero è stato indotto dall’amministrazione comunale di Magenta che per allontanare dei Cittadini italiani, residenti a Magenta, non ha più permesso a queste persone di stipulare contratti per la fornitura dell’energia elettrica e dell’acqua. Di seguito la toccante lettera
«Se ne sono andati senza far rumore, una sera d’autunno. Quattro piccole roulotte e i loro 14 occupanti. Ora il parcheggio vuoto può finalmente tornare ad essere un buco nel nostro spazio mentale. D’altronde, due mesi senza elettricità, acqua e riscaldamento sono tanti, soprattutto per dei bambini, degli anziani e una donna incinta. A Pontevecchio hanno tirato un sospiro di sollievo, e anche a Magenta. Gli zingari se ne sono andati! Che tornino al loro paese!
Già, il loro paese. Annunziata e Gaetano che parlano il dialetto magentino e vivevano a Pontevecchio da più di venti anni, Johnny e i suoi fratelli che sono nati qui, come i loro figli, di che paese sono? Avevano tutti la cittadinanza italiana e la residenza a Magenta, ma quando in famiglia si parla Sinti, questo non basta. E poi si ostinano a vivere in una roulotte…
Che strano paese l’Italia. Un paese in cui vivere in una roulotte è un reato, mentre lucrare sui soldi dei correntisti, degli azionisti, dei clienti e, in certi casi, persino dei contribuenti è considerato bravura. Un paese dove una ragazzina di 15 anni che sogna di fare la veterinaria è un pericolo di ordine pubblico. Un paese dove si può andare in chiesa tutte le domeniche e rifiutarsi di vedere che una madre sta per partorire in una mangiatoia.
Ma non si può ostacolare il progresso: dal campo comunale dove hanno sostato nell’indifferenza generale per 12 anni dovrà passare la strada che finalmente collegherà Pavia alla Malpensa. E no, un altro campo privato, comunale o parrocchiale per loro proprio non c’era. E non dimentichiamo che il Prefetto aveva iniziato il Censimento delle aree adibite a campo nomadi di tutta la provincia, e questo campo non aveva i requisiti necessari per essere riconosciuto legalmente. E adeguare costa, mentre chiudere gli occhi, in effetti, è gratis. E alla fine è vero: che differenza fa? Tanto, per noi, loro non erano mai esistiti.
E domani torneremo tutti alle nostre vite e ai nostri piccoli e grandi problemi quotidiani. Ma io, almeno oggi, mi vergogno di essere italiana, cristiana, magentina e di abitare in questa frazione di cui non mi sento più parte.
Il vento autunnale soffia sulla piazzola vuota del parcheggio e fa volteggiare nella mia testa un turbinio di parole: quelle dei cittadini di serie A, dei politici, dei preti e anche le mie. E non mi illudo: come le foglie, anche queste verranno presto spazzate via».

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