lunedì 2 febbraio 2009

Non un atto xenofobo ma di bullismo...

Quando la realtà non viene espressa con le giuste parole c'è chi resta sgomento e chi si accontenta. A me non appartengono questi atteggiamenti; io mostro il mio disappunto e mi incazzo alquanto.
Ho da puntualizzare la falsità di queste parole, sia sul piano oggettivo - i singoli termini hanno un senso, sapete? - che su quello più formale del significato che, insieme, vogliono rappresentare.
Parto da "xenofobo" che, seppure di uso comune oramai, è parola impropria per le azioni commesse sia ieri che oggi da parte di cittadini italiani nei confronti di cittadini stranieri.
"Atto Xenofobo" sta per azione derivata dalla fobia nei confronti di tutto ciò che è straniero. Certo, quella paura estrema - a tal punto da diventare vera e propria psicosi - non sarà stata causata dalla mera presenza del signore straniero in una stazione di provincia ma da un ambiente che rimanda continue rotture tra ciò che è "sicuro" e ciò che non lo è. Una strumentale politica dell'esasperazione delle diversità per garantire il controllo sociale e, così, indicare nelle minoranze le cause del malessere sociale.
La vergognosa e ignobile azione, aggravata oggi dalla dichiarazione impropria degli inquirenti, non è, quindi, azione xenofoba ma è atto razzista.
Una definizione propria se consideriamo che razzismo è la tendenza a non riconoscere la piena uguaglianza delle "razze" e a negare la parità dei diritti civili alle diverse comunità di uno Stato.
Capiamo, così, che la dichiarazione offerta impunemente dagli inquirenti è falsa e tendenziosa: non un atto xenofobo ma un'azione razzista che bisogna punire proprio perché atto di sopraffazione e molto più di una "bravata di tre ragazzi".
D'altronde, è la nostra memoria a garantire la veridicità di questa riflessione: dagli atti di violenza compiuti a Parma dal corpo di polizia municipale alla strage di Castel Volturno, dall'incendio al campo Rom di Ponticelli - e di innumerevoli campi in tutta Italia - all'assassinio del ragazzo del Burkina Faso.

E' l'uso della violenza a sfondo razzista a dare il significato reale di queste azioni, in una società che ha ormai perso il senso di giustizia e punta all'estrema giustificazione sociale (atto di bullismo come azione di minor gravità sociale) e all'impunità per non dover fare i conti con i propri atti di accusa e con la reale volontà: quella di fare dell'odio razziale la propria politica di destabilizzazione e di diversificazione in modo da gestire, in nome dell'insicurezza, un branco di individui sfiduciati e ostili.
Si puniscano i responsabili degli atti razzisti e dei reati commessi in nome della razza (ché il Sindaco Gentilini non è meno delinquente degli altri) in modo da rendere i cittadini italiani e stranieri partecipi del senso di solidarietà e cittadinanza di cui è ricca questa nostra Italia. di Julia Prestia (Cooperativa Sociale Pralipé Onlus)

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