lunedì 16 febbraio 2009

Protezione civile

Lo stupro è un delitto vile e una violenza profonda. Forse il più primordiale dei crimini, che in ciascuno di noi evoca sentimenti altrettanto primordiali: la paura, l'ira, lo spirito di vendetta.
Che questi sentimenti debbano essere temperati dalla ragione, e dalla coscienza del diritto, è adesso ancora più evidente dopo il vergognoso raid razzista di ieri sera a Roma contro un bar gestito da romeni. A conferma di quanto pericoloso sia il clima, e quanto disposti alla violenza i peggiori cittadini. Ma la ripetizione rituale degli appelli alla temperanza, e il mero invito ad affidarsi al magistero delle leggi e alla protezione dello Stato, in questa tempesta emotiva rischiano di suonare vuoti, e distratti, tal quali la massima parte delle parole politiche di questo difficilissimo scorcio d'epoca.
Peggio, rischiano di rappresentare, anche quando non lo siano, il pilatesco disimpegno della "casta" e in generale dei ceti socialmente più protetti, indifferenti di fronte al rischio e all'impotenza di chi vive a contatto con la strada, nei quartieri difficili, a diretto contatto con gli aspetti più ruvidi e aspri della violenza endemica e dell'immigrazione clandestina. Ripetere che la grande maggioranza delle violenze sessuali avvengono in famiglia, spesso coperte dall'ipocrisia, dall'arbitrio maschile e dalla rassegnazione femminile, è vero e giusto: ma non vale a rinfrancare e tranquillizzare quei cittadini che, a torto o a ragione, vivono la violenza di strada come il più intollerabile dei soprusi.
La tentazione popolare di auto-organizzare il controllo del territorio (e magari anche la punizione dei colpevoli veri o presunti) è vista con legittima diffidenza da chi ha cultura civile, e spirito legalitario. Essa racchiude, in una forbice di intenzioni così ampia da essere contraddittoria, l'orrendo istinto del linciaggio, del rastrellamento, della giustizia sommaria, del pogrom di quartiere come è accaduto ieri a Roma e in precedenza a Napoli contro i rom (si è poi saputo che il "casus belli", il presunto tentato rapimento di un neonato da parte di una giovane zingara, era stato inventato di sana pianta); ma al capo opposto racchiude anche una volontà di partecipazione attiva, e quasi di "protezione civile", che non è più consentito ridurre a puro malumore manesco e reazionario.
Il governo, a quanto si capisce, intende incentivare le cosiddette "ronde", muovendosi nell'alveo naturale di un populismo che è insieme istintivo e strumentale. Ma opporre a questo fenomeno il puro esorcismo legalitario non serve: semmai minaccia di peggiorare le cose, consegnando alle forze politiche più a loro agio sul mercato della paura (vedi la Lega e le sue ronde) una specie di monopolio della reazione popolare, che nella deriva del diritto può dare luogo a una raggelante gestione partitica della sicurezza (di "servizi d'ordine" che generavano altro disordine questo paese ne ha già avuti davvero troppi).

E dunque: ripetuto, e non si ripete mai abbastanza, che spetta alle forze dell'ordine garantire la sicurezza, alla magistratura di applicare la legge e al governo e al Parlamento di indirizzare le politiche di sicurezza, come affrontare l'onda tumultuante e inquietante della "giustizia popolare", dei pattugliamenti di quartiere più o meno spontanei, dell'insicurezza effettiva e di quella percepita? L'idea di ricondurla a una ragionevole e perfino utile opera di assistenza a polizia e carabinieri, nonché a un ruolo di dissuasione civica e disarmata, non è più insensata che limitarsi alla virtuosa giaculatoria sulle prerogative dello Stato.
In questo clima di razzismo, di uso ansiogeno e bassamente speculativo del problema della sicurezza (chissà se il sindaco Alemanno si è pentito di avere addossato alle amministrazioni di centrosinistra ogni colpa...), forse non sarebbe inutile che la politica - Parlamento e sindaci in primo luogo - provasse a misurare la temperatura della strada non per volgerla a qualche suo effimero vantaggio, ma per aiutarla a rincivilire i suoi umori, e trasformare una scomposta paura popolare in forme attive, controllate e proficue di controllo del territorio. Disinnescando una temibile deriva razzista, manesca e di fazione, e riconsegnando ai bisogni della comunità ciò che oggi è un minaccioso magma emotivo, alla mercé di frange estremiste, capibastone rionali, mestatori di partito, ducetti di crocevia.
Si dice sempre, del resto, che alle radici della crisi della politica ci sia il drammatico distacco dai bisogni popolari. Un evidente bisogno popolare è darsi da fare perché l'attraversamento di un giardinetto in pieno pomeriggio, o l'attesa di amici sul portone sotto casa, non si trasformino in una violazione insopportabile per due ragazze inermi. Tra definire "eroe" chi sventa singolarmente uno stupro, e vedere in ogni reazione collettiva una minaccia per l'ordine democratico, ci deve pur essere una volonterosa e rassicurante via di mezzo. Specie per la sinistra, che della partecipazione popolare, ai tempi, si faceva meritato vanto, questo è un banco di prova da non eludere. Gli assenti hanno sempre torto. di Michele Serra

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