“Non ci siamo mai innamorati di quella leggenda popolare che guarda ai rom come ai ladri dei bambini, se questo è il sospetto. Anzi, eravamo così coscienti del rischio di avallare un tale pregiudizio, che abbiamo messo in campo una cautela estrema, il massimo equilibrio, indagini svolte in ogni direzione. Volte persino a capire se vi fossero preconcetti razziali nella famiglia della signora Flora Martinelli, la madre da cui proveniva l'accusa”. Così Luciana Izzo, Procuratore Capo per i minori di Napoli su “Repubblica” del 14 marzo 2009, nell’articolo titolato: “Ecco perché Angelica è colpevole”.
Scrive la giornalista Conchita Sannino: “Voce bassa, il tono sereno di chi è allenato a distinguere i fatti giudiziariamente accertati dalle rispettabili opinioni di chi coltiva il coraggio del dubbio… Luciana Izzo, è una donna schiva e un magistrato che parla solo attraverso gli atti”.
Ecco quali potrebbero essere i fatti giudiziariamente accertati.
E’ una sera di maggio. Angelica si trova davanti alla casa dei Martinelli, una palazzina di tre piani. La quindicenne solo qualche giorno prima è stata arrestata per un tentativo di furto, proprio lì vicino. In quella occasione è stata malmenata dalla folla e solo il pronto intervento della Polizia l’ha salvata. E’ sola. Probabilmente non conosce nessuno degli abitanti di quella casa, sicuramente nessuno di loro conosce lei. Si trova davanti ad un cancello in ferro battuto, distrattamente lasciato aperto. Entra, percorre un breve tratto del piazzale, raggiunge il portone d’ingresso distrattamente lasciato aperto. Entra, sale al primo piano, ma non si ferma. Sale al secondo piano. Trova una porta. Non è una porta qualsiasi: sembra blindata e sicuramente ha una serratura di sicurezza, con cinque cilindretti di acciaio che non aspettano altro che andarsi ad incanalare nell’altra parte della serratura, con un semplice giro di chiave.
Ma la porta è distrattamente lasciata aperta. Entra e si trova subito nell’ampio salone: la prima cosa che nota è la presenza della piccola nel suo seggiolone. Agisce d’impeto ed in pochi secondi materializza l’agghiacciante tentativo di sequestro: il suo “piano” è semplicissimo, consiste nel prendere la bambina, allontanarsi dalla casa, uscire per strada, schivare le decine di persone che potrebbero incontrarla e recarsi al campo nomadi percorrendo circa due chilometri a piedi, sempre con la bambina in braccio. Il movente è ancora più chiaro: venderla in Romania, lì pagare bene i bambini – lo confesserà lei stessa all’incredulo Ispettore Sergio S. - Così si avvicina, sorride alla piccola che contraccambia il suo sorriso, la prende in braccio e lentamente, ma molto lentamente, ritorna indietro sui suoi passi per poi fermarsi, quasi immobile, sull’uscio della casa appena varcata la soglia. A questo punto, quasi per miracolo, la mamma della piccola, che si trovava nella stanza da letto per riporre alcuni panni del bucato, entra nel salone. La prima cosa che vede è la porta di casa aperta. Si avvicina per chiuderla, meccanicamente sbircia di fuori e vede la sua bambina in braccio ad una zingara. Solo un attimo di smarrimento, riesce a strapparle la figlia, che adesso non sorride più alla sua rapitrice e comincia a piangere. La prende e la posa per terra, presumibilmente sul freddo pavimento del pianerottolo.
Comincia ad urlare. Nonno Ciro, che abita al piano di sotto, esce subito di casa e si trova davanti la piccola zingara, le molla un paio di schiaffoni ma nonostante la stazza (o forse proprio per questo) gli scappa via dalle mani, incredibilmente, per quella scala stretta che non ha altre vie di fuga. Escono tutti. Angelica che fino ad adesso si è mossa al rallentatore prende a scappare velocissima. La rincorrono per circa un isolato, ma non ce la fanno a prenderla, viene bloccata dalla “folla inferocita” richiamata dalle grida. Fortunatamente qualcuno ha chiamato la Polizia, ed ancora oggi a Napoli non si spiegano come mai solo quando si tratta di “zingari” le Forze dell’Ordine arrivano subito.
Continua il Procuratore Capo: “Io stessa, sulle prime, non ci credevo” - come darle torto? - “E, provenendo da trent'anni di uffici giudiziari, minorili e ordinari, a Bologna, a contatto con una vasta comunità di rom, sapevo quanto fosse diffusa e ingiusta la "credenza" popolare che teme i rumeni. Coltivavo la convinzione che quel popolo avesse un radicato senso della famiglia, sebbene molto allargato. Ragiono a posteriori: forse è cambiato qualcosa, forse i bambini sono visti oggi più come strumento di arricchimento che non di ricchezza familiare”.
E come sarebbe? Ragionandoci sopra forse il pregiudizio ha una sua fondatezza? E questo ragionamento potrebbe, in un qualche modo, influire sulla valutazione complessiva della vicenda di Angelica? Quindi può essere che oggi gli zingari rubano i bambini esattamente come sostiene la credenza popolare? E quale interesse potrebbe avere, non una quindicenne ma una qualsiasi organizzazione criminale a “rubare” una bambina Italiana per portarla in Romania dove, purtroppo, ce ne sono a centinaia completamente abbandonati? Angelica stessa non è “giudiziariamente” una minore non accompagnata? E se Angelica considerasse sua figlia uno strumento di arricchimento e non di ricchezza familiare, per quale motivo se ne sarebbe dolorosamente separata, lasciandola a casa con i nonni, per venire in Italia in cerca di migliori condizioni di vita?
E se diamo conto ai “pregiudizi” non è forse un luogo comune a Napoli mettere sempre in mezzo la camorra? Miguel Mora, domenica 1 febbraio, scrive sopra “El Pais” che ad Angelica è come se le avessero avvelenato l’anima facendole bere un micidiale cocktail “elaborado con ingredientes de la peor marca. Degradación y miseria, racismo y demagogia, crimen organizado y especulación urbanística”.
Ma non è questione di pregiudizi ed, infatti, il Procuratore Capo conclude: “Ebbene, siamo di fronte ad un fatto unico”. Senza dubbio… siamo di fronte ad un fatto unico. Ritornando a leggere, infatti, apprendiamo: “Se l'imputata si chiami davvero Angelica V. oppure Maria D. nessuno può dirlo”.
Ma come… questa “sposa bambina” che si aggirava “invisibile” caritando per le vie di Napoli, non ha ancora un nome? Quando uno pensa ad un processo indiziario per sequestro di persona a carico di una minorenne straniera, Cittadina Europea, durato circa otto mesi, inevitabilmente, si immagina una cosa complicatissima: fascicoli sopra fascicoli, testimonianze, confronti, riscontri, sopralluoghi, perizie tecniche intese ad accertare la dinamica dei fatti, analisi dei possibili moventi per verificarne la concretezza, lettere fra Consolati, traduzioni di documenti al fine garantire la perfetta conoscenza delle imputazioni alla minore in un Paese straniero, indagini a 360° magari anche per stabilire se sussista una relazione fra i fatti contestati e quelli immediatamente susseguitisi, senza dimenticare l’interesse superiore del minore, sancito dall’art. 3 della Convenzione dei Diritti del Fanciullo, sottoscritta New York il 20 novembre 1989, che a nostro avviso essendo la Romania in Europa e non dall’altra parte del mondo, non può prescindere dalla individuazione di criteri certi di riferimento per valutarne la personalità nell’ambito del contesto di appartenenza… come a dire una montagna di carte, atti che da soli dovrebbero togliere spazio alle parole e cercare, per quanto possibile, di chiarire ogni dubbio.
Se la realtà processuale, dopo otto lunghi mesi vissuti da Angelica a Nisida, da una lato riesce ad attestare la presunta colpevolezza, tutto sommato soltanto sulla base di un “racconto” che oggettivamente suscita molte perplessità, su una “frase” capita o più probabilmente detta male e sulla mancata “collaborazione” dell’imputata, ma allo stesso tempo non chiarisce nessuna delle questioni evidenziate non riuscendo a dare nessuna prova certa sulla colpevolezza ed arrivando all’assurdo di condannare la minore di età, che si è sempre detta innocente, senza avere certezza neanche del suo vero nome… non è che poi ci vuole molto a “coltivare il coraggio del dubbio”. Viene proprio spontaneo. di Gruppo EveryOne. Leggi anche Nisida, Nisida… così vicina così lontana, parte uno e parte due.
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