lunedì 13 aprile 2009

"Genere e generazioni"...

L’"erranza" del pensiero nei luoghi delle diversità interetniche, di genere ed intergenerazionali. Spazi e tempi di un processo storico “infinito”.
La filosofia delle differenze e delle diversità, attraverso la molteplicità dell’erranza: “Wanderung”, migrazione, viaggio.
Le differenze non interessano tanto le dimensioni di spazio e tempo, concetti formali o formalizzati di un “a priori” di senso interno ed esterno, ma di una pluralità di “spazi e tempi” in genesi, in fieri, in formazione che stabiliscono percorsi di senso in cui viene alla luce la varietà dell’errare e la differenza delle generazioni nelle declinazioni storiche epocali, di transizione. Per cui si considerano vari concetti in riferimento allo spazio dell’erranza e del viaggio, ambito delle diversità e del percorso che Stearn, romanziere del ‘700, considerava spazio contemporaneamente progressivo e digressivo. Il viaggio, il vagare, l’errare senza meta (Wanderung) sono processi progressivi che permettono di avanzare, per cui non obbligano la stasi in una posizione definitiva, ma sono anche digressioni perché il procedere non risulta lineare, ma consiste in una dinamica progressiva che conosce svolte, anse, anfratti ed affronta le problematiche aperte del “non finito”, comportando il rischio, l’incognita della diversità, pluriverso della differenza.
In questo essere digressivo il viaggio e l’erranza non sono vuoto perché producono contenuti se diventano spazio di generazione, per cui attraverso le differenze intergenerazionali comprendiamo il senso storico generativo, progressivo delle varie epoche. Le generazioni erranti tra gli spazi ed i tempi della differenza insegnano a cogliere il valore ed il profondo significato della differenza stessa, considerata come ricchezza, opportunità di rinnovamento, ambito e spazio di riconoscimento perché non è possibile riscoprire la propria identità se non confrontandola con la diversità, l’alterità, le differenze tra generazioni, osservando vari passaggi, luoghi, terre di mezzo, viaggiando al loro interno senza pregiudizi, stereotipi mentali di sorta.
Il problema della differenza consiste nella sperimentazione del riconoscimento, nell’affrontare e confrontare l’altro da sé. Non siamo se non attraverso gli altri che confermano i nostri assunti, attraversando i luoghi della storia, con chi attua percorsi formativi diversi, come testimoni di differenti generazioni e di variazioni, transizioni e traslazioni all’interno delle temporalità epocali.
La questione relativa al concetto di differenza è di matrice pedagogica perché insegna sempre nuovi elementi costruttivi del proprio sé attraverso le verità evidenti, emergenti dall’incontro e confronto. La diversità prevede e comporta il cambiamento, la transizione, l’erranza.
La condizione normale dell’atmosfera è la turbolenza degli elementi: il mondo in movimento, le migrazioni di popoli, il viaggio poetico e le appartenenze che non coincidono con i territori geografici sono fonte di alterità, di incontri, scontri, conflitti attraverso il poliedrico spettro prismatico delle differenze.

Il viaggio femminile, che presenta la caratteristica peculiare “dell’uscire dal recinto”, dall’alveo, dall’alcova, dal cortile del domicilio, ed invertire il ruolo di Penelope che attende, aspetta con pazienza, indica il significato apportato dai nuovi fenomeni di migrazione delle donne, ribaltando una tradizionale divisione di ruoli all’interno delle relazioni di genere, nell’ambito dei processi migratori. Il viaggio e l’”errore dell’erranza” rappresentano una metafora pedagogica intesa come ricerca di sé nel nulla, nel vuoto, nell’ignoto, per creare spazio interiore, alla ricerca di un tempo, di una memoria per ricostruire matrici di senso e significato dell’essere.
Esistono erranze per fuga , per esilio, per paura, per spirito di avventura e di ricerca.
Cosa significa trasmettere errando, da una generazione all’altra , la cultura originaria, d’appartenenza? L’erranza comporta relazioni, intrecci, meticciamenti, discrasie, discrepanze, mescolanze, nell’incontro con le differenze, con le contaminazioni linguistiche, gli usi, costumi, tradizioni, norme, leggi, rituali, convenzioni.
Il conflitto che scaturisce dall’interazione tra differenze genera spesso fraintendimento, malinteso, incomprensione, esclusione, in reciproche intolleranze. L’erranza riguarda tutti, concerne ed impernia le storie personali, le biografie, gli eventi individuali e collettivi, dei popoli. Siamo tutti erranti del pensiero rispetto al tempo, alla nostra formazione, ai nostri progetti di vita, alla rappresentazione di noi elaborata nel corso della personale crescita ed evoluzione nel passato, nell’attualità e contemporaneità del presente che pratichiamo. Siamo erranti rispetto ai territori, alle appartenenze culturali, alle identità, alle stagioni/età della vita. Nel percorso personale ed individuale di crescita, sviluppo, evoluzione e formazione abbiamo imparato nel tempo a sperimentare i temi, i problemi legati all’infanzia, le difficoltà dell’adolescenza, l’avventura, le novità, la progettualità dell’età giovanile e adulta, le memorie, le riflessioni della terza età. Quindi siamo erranti, continui migranti, in transizione, rispetto ai tempi, ai territori, alle emozioni, ai contenuti, ai concetti e pensieri della nostra vita, dei progetti premeditati, preconcepiti relativi al futuro ed alla riflessione rispetto alla reale e mutata immagine di noi stessi nell’attualità del presente.
Siamo erranti rispetto allo spazio perché serbiamo in memoria territori e luoghi dell’infanzia remota di nostre profonde ed intime radici affettive, amicali, segnate dalle nostalgie, dal desiderio di ritorno e di appartenenza ad un luogo, teatro del vissuto.
Siamo erranti rispetto alle nostre identità, attraversando spazi di vita diversi, nell’ambito degli affetti, delle professioni, dei vari luoghi teatro dell’esistenza in cui le differenti circostanze richiedono di essere attori proteiformi, diversi, transitori, ciclici, ricorsivi, in scomode e continue metamorfosi, transizioni, traslazioni, usando linguaggi, modi di essere e comunicare differenti, mimetici, caleidoscopici, attuando così plurime forme di erranza, di trasmigrazione nel quotidiano.
Errare è scoperta, stupore, meraviglia, illusione rispetto all’altro, al diverso, per questo comporta fatica, difficoltà, incomprensione, conflitto.
Stupore, meraviglia scoperta, conquista, ma anche faticosa difficoltà nell’erranza che comporta perdite, delusioni, disillusioni, abbandoni. La Wanderung è vuoto, ignoto, perdita di relazioni, di riferimenti, di affetti e legami: nostalgie. E’ incontro con altre dimensioni culturali, altri luoghi, differenti territori e paesi. L’erranza come migrazione è smarrimento, abbandono, dimenticanza, oblio di affetti, riferimenti, appartenenze, sperimentazione e riscoperta di nuovi sentimenti, emozioni, stati d’animo. Cosa implica l’incontro con la differenza dell’immigrato, dell’altro da sé per genere e generazione per lingua e cultura? Quando incontriamo le “affinità”, l’esatto contrario delle “diversità”, quando amiamo e accettiamo coloro che ci somigliano, che ci sono affini, siamo confermati nei nostri assunti, nelle nostre categorie di pensiero, matrici culturali di senso, di riferimento, di valori nella condotta nel comportamento etico, in asserzioni e stereotipi, che vengono confermati e resi più sicuri, stabili, corroborati e suffragati da certezze. Ma questo atteggiamento passivo, statico può significare e comportare immobilità, chiusura, preclusione, evitando di intraprendere la strada del cambiamento, della scoperta, dell’apprendimento attraverso la relazione, nell’”avventurarsi altrove”, nel “ricercare oltre”. Tornando a rileggere la personale biografia ci si accorgerà che l’apprendimento avviene solo nell’incontro con la differenza, l’ostacolo, la promiscuità, la discrepanza, l’altro e gli altri da sé perché le affinità confermano, appagano, giustificano, accolgono, mentre le diversità scompigliano, modificano, smentiscono, infastidiscono, disapprovano, negano, rifiutano, sconfessano, mettono in crisi i nostri assunti, le categorie di pensiero, le certezze precostituite, permettendo di intraprendere percorsi nuovi di senso e significato dell’esistere. L’incontro, il confronto, lo scontro, il conflitto con la diversità attraverso l’erranza, significa apertura verso il nuovo, sviluppo del pensiero, evoluzione nelle formulazioni concettuali, nel relazionarsi con se stessi e con il mondo, eliminando le incrostazioni abitudinarie, le difficoltà, i disagi interrelazionali, attenuando il pregiudizio stereotipato, accettando rinnovate emozioni, sensazioni, affrontando le frustrazioni dell’incontro/scontro con la differenza che provocano incertezza, senso di instabilità, di vuoto, di ignoto nel non essere confermati dall’altro.
L’incontro con la differenza può diventare conoscenza, apprendimento, scoperta, rivelazione di novità, tramite lo stupore infantile, la meraviglia innocente, accettando di osservare dentro di sé le situazioni, i momenti, i vissuti di quando ci si sente estranei a se stessi, stranieri, in ricorsive e transitorie eclissi di senso e d’identità.
Vivere la dimensione di estraneitudine può aiutare a stabilire relazioni con l’altro, nell’incontro con la differenza, per abitare le “terre di mezzo”, i luoghi tra un confine e l’altro, per essere in grado di reinventarci mediatori, migratori, costruttori di ponti interrelazionali, saltatori di muri interetnici, di barriere caratteriali, esploratori di frontiere piccole e grandi legate anche alla quotidianità, per affrontare il pluriverso dell’alterità, per andare oltre. Sono utili persone che sappiano vivere e gestire l’incontro con la differenza, abitando l’incertezza, attraversando confini, abbattendo muri, costruendo ponti di relazioni, per diventare mediatori di mondi e culture nel pluriverso della storia, nel relazionarsi degli eventi epocali. Scoperta, stupore, meraviglia, vuoto, ignoto, nostalgia, abbandono, perdita di relazioni, di affetti, di appartenenze, di riferimenti, d’identità, sono situazioni, sentimenti, stati d’animo tipici dei differenti modi di concepire l’errare. L’erranza interiore nella riflessione sul personale passato, nella ricerca e riconquista del proprio sé pur in scomode, continue, ricorsive transizioni, repentine traslazioni e le modalità della Wanderung, nel viaggio d’emigrazione, nell’esilio, nella riconquista di un proprio spazio/tempo, non solo interiore, ma anche esteriore. Al centro del concetto “erranza” è il disagio della fatica nell’incontro, l’ossessione del conflitto, con la diversità nelle molteplici differenze, pluriverso olistico di entità ed identità. Bachtin considerava l’extralocalità o essotopia, la capacità di riuscire ad essere e vivere contemporaneamente, sincronicamente nel luogo del proprio sé e dell’altro, per non restare statici all’interno delle proprie frontiere, limiti, convinzioni, barriere, muri relazionali che, paradossalmente, esigono e comportano, di converso, il loro stesso superamento, l’andare oltre…
Appartenenze: il “pluriverso” delle differenze interetniche ed intergenerazionali nell’evoluzione storica e sociale.
Le dimensioni dell’erranza e delle generazioni interagiscono a vicenda, complementandosi.
Le generazioni nelle epoche, nel corso della storia remota o recente, riguardano tutti, per i risvolti interrelazionali che stampano in noi solchi, tacche, tappe del tempo di appartenenze o differenze, che comunque segnalano la comunicazione e l’interazione tra più persone.
Le generazioni delle donne apportatrici di cambiamento nel ’68, rappresentano quella fascia femminile che ha cominciato a pensare su di sé, a praticare un lavoro di riflessione sul proprio sé, cambiando così i destini tradizionali delle donne. Le relazioni tra generazioni che rivelano spesso punti oscuri e nevralgici di pregiudizio, in questo peculiare momento epocale, di passaggio e transizione generazionale sono inedite e memorabili. I cambiamenti apportati dalle “state giovani” del ’68 hanno generato differenti relazioni intergenerazionali. Per esempio non esistono passaggi di modelli. Le “ereditiere”, le giovani generazioni femminili, non hanno accettato la “consegna”, in vissuti di mancato riconoscimento e disdetta dell’eredità dove non esiste trasmissione, accettazione, integrazione e consegna di eredità. Non si effettuano passaggi di modelli tra uomini, si verifica assenza di conflitto intergenerazionale, senza imbarazzi e pesantezze perché il pregiudizio entra in questi vissuti, nella difficoltà di comunicazione, sorta dalla crisi di un modello tradizionalista di patriarcato, dalla nascita dei nuovi padri. Dalla crisi del modello assolutista del maschio, gli uomini hanno compreso la possibilità di crearsi spazi per ripensarsi come genere, portatori di un’acquisita eredità femminile postsessantottina, come ambito e spazio per riflettere e che il maschio, l’uomo forte per obbligo e non per scelta del passato non poteva legittimare.
Il pregiudizio intergenerazionale ha sempre rappresentato una particolare modalità di comunicazione, di espressione nelle relazioni tra generazioni. L’atteggiamento pregiudiziale, il cattivo giudizio degli adulti nei confronti dei giovani ha diverse radici, significati, motivazioni e giustificazioni, impedendo la rigenerazione ricorsiva, l’erranza, i passaggi di consegne di eredità tra generazioni, tra epoche, nella trasmissione di significati, valori racchiusi nella memoria storica remota e recente, nell’impegno intellettuale e culturale al servizio del sociale per sostenere i valori etici della “comunità educante”, della società aperta al cambiamento, gli ideali democratici della “Resistenza” alle dittature, contro sciovinismi e imperialismi, i valori, le conquiste, i diritti acquisiti con le rivendicazioni e trasformazioni del movimento sessantottesco che devono essere tramandati di padre in figlio, dove la società sia una grande famiglia educante con punti e figure di riferimento tra generazioni, dove esistano “padri” e “madri” che trasmettano i valori dell’appartenenza alle generazioni che hanno vissuto e sofferto un tempo di lotte di rivendicazioni, di traguardi e conquiste che non va dimenticato, scadendo nell’oblio della modernità. La trasmissione della memoria storica di generazione in generazione “…per non dimenticare” e non ripiombare negli errori della storia, nell’intolleranza cieca nei confronti delle diversità, nello spettro dei conflitti civili armati, nelle dittature di qualsiasi colorazione, nei nazionalismi esasperati, negli sciovinismi ed imperialismi esacerbati da conflitti.
Il “filo rosso” della storia unisce le nuove generazioni ai vecchi “padri” della resistenza prima e del ’68 poi, per tramandare e portare avanti il vero impegno intellettuale, culturale, quindi etico nella società contemporanea, nell’attualità del presente, in prospettiva futura, per le nuove generazioni, come eredi ed ereditiere dei movimenti di emancipazione tra i sessi, tra classi sociali, per la conquista di libertà e parità di diritti, per la risoluzione del sottile contrasto dicotomico tra differenza e discriminazione, in vista dell’abolizione di pretese, prevaricazioni classiste, di subdole manovre revisioniste e, addirittura, negazioniste della storia, della verità ed obiettività del relazionarsi degli eventi, al fine della messa in discussione, la confutazione logica del principio di autorità assoluta, per l’emancipazione dal patriarcato, dal dominio e strapotere “dell’uomo forte”. Devono convivere, finalizzate al confronto e all’arricchimento reciproco, le diversità di pensiero, di genere, tra sessi, culturali, etniche, razziali, religiose, ma non devono sussistere, in uno stato di democrazia e progresso, diversità discrimianti e differenze discriminate circa i diritti inalienabili dell’uomo.
Il confronto tra diversità per andare oltre…
Dunque la riflessione relativa ai concetti di erranza e di generazione invita a declinare il pensiero in una dimensione praticamente storica, in categorie spazio/temporali. Gli interventi in ambito educativo e pedagogico spingono intorno ad un nucleo come il tema del disagio relazionale ed intergenerazionale, della perdita di un centro, di figure di riferimento, del proprio ruolo e posto nel mondo, nella storia, nell’evoluzione dei tempi, con l’incapacità di riconoscersi in uno spazio e tempo personali, di riflessione sul proprio sé e sul passato personale, individuale e collettivo, che renda riconoscibile e dotato di senso l’agire e il ricordare, il rimembrare e commemorare. Il disagio generazionale è frutto di crisi culturale, di perdita di memoria storica, a livello personale e collettivo.
Dal disagio scaturisce l’errore, il desiderio d’erranza, l’evasione alla ricerca di nuove forme del sé in categorie di pensiero spazio/temporali, nel corso dell’evoluzione storica personale e globale, nell’esistere in un luogo secondo una propria, personale memoria. La risposta è il modello di solitudine esistenziale, come dialogo con il proprio sé, pur nella convivenza (di cui parla Maria Zambrano), che può avere vantaggi difensivi notevoli, ma comporta anche resa, rassegnazione di fronte ad un mondo, ad un modello culturale ad un sistema di progresso insostenibili. Forse i fenomeni di reinsorgenza del religioso, dell’archetipo del sacro, tanto frequenti nel nostro tempo, vogliono rappresentare una possibile risposta, un senso e significato giustificativo a tale condizione storica.
Ciascuno vive la situazione di solitudine esistenziale, nell’inevitabile processo di individualizzazione dei destini di fronte al mondo ed al corso della storia, al relazionarsi degli eventi che ci travolgono. Come attribuire matrici di senso e di significato all’esistere, all’essere al mondo, riconoscendo e riscoprendo il valore e l’identità del destino individuale, personale di ogni singolo soggetto inserito nel popolo, parte integrante ed indispensabile del tutto, attore della storia, proprio adesso che le grandi ideologie, matrici e categorie archetipiche del pensiero, sono svanite e avanza impellente la secolarizzazione, l’etica dei consumi e la modernità lacerante dell’oblio, nel pensiero pervasivo, omologante e standardizzato, veicolato dai massmedia, per cui le risposte ultime, cardine dell’esistenza, ovviamente scaturiscono dal sacro?
L’erranza instancabile del pensiero indagatore, analitico nella ricerca del senso e significato ultimo dell’essere, il viaggio nella dimensione interiore del sé, la Wanderung spazio/temporale, l’esilio esistenziale nei luoghi dell’altrove interno ed esterno al sé, costituiscono esperienze uniche, straordinarie in cui avviene il confronto con l’alterità, altruità dell’essere, dimensione olistica interna ed esterna al sé, nell’altrove spazio/temporale, per cui la prospettiva di approccio fenomenologico a tale esperienza varia e trova punti di riferimento sempre nuovi pur nella ripetizione culturale ed ermeneutica, interpretativa, dei termini ultimi.
Erranti che amano la vita e la conoscenza, che suscitano interessi negli altri e affascinano al gusto dell’ignoto nella ricerca inesausta, insopprimibile, viscerale di verità, nell’avventura inesplorata dei saperi per imparare a ricominciare, a ricrearsi, a rinascere ogni volta per aprire radure proprio dove più oscure diventano le idee e le contraddizioni altrui, viaggiando con il pensiero per andare oltre… nell’altrove di nuove esperienze, nell’avventura esistenziale, la Wanderung esplorativa, sconfiggendo lo spettro della morte nell’annichilimento del lume della ragione, diventando infaticabili erranti del pensiero, seduttori curiosi verso l’ignoto del sapere, nel mondo, per la conoscenza infinita, per la ricerca esplorativa del vero senso della vita, delle verità, liberando le idee da incrostazioni abitudinarie, da convenzioni ottuse e convinzioni caparbie, trovando un approdo nell’ascolto di chi forse non ha ancora pensato la vita e la morte, ma l’ha solo narrata…là dove gli erranti sfiorano i confini…
L’accezione del termine “differenza” (dal latino dif-fero, disseminare, scombussolare, spargere) implica l’idea della pluralità, pluriverso olistico globale ed omnicomprensivo del concetto più circoscritto di “diversità” (dal latino diverto, diversus, contrario, opposto a, differente da).
Il territorio multiculturale, potenzialmente interculturale , che vede l’avvicendarsi degli spostamenti, migrazioni di interi popoli, che mette a confronto differenti diversità, meticciamenti, etnie, promiscuità e difficoltà aspiranti all’integrazione, all’accettazione, accoglienza e condivisione dell’altrui differenza, non per sconfiggerla, annientarla, ghettizzarla, deturparla, omologarla, in piatte, avvilenti, discriminatorie standardizzazioni, ma per riconoscerla e rispettarla, nella valorizzazione, arricchimento e accrescimento reciproci, è il teatro della fiumana degli eventi, in cui ognuno agisce come attore consapevole del proprio sé, nella costruzione dell’immenso mosaico della storia e dell’esistenza nel corso ricorsivo, ciclico, proteiforme dell’evoluzione dei tempi, del relazionarsi degli eventi.
Solo riappropriandoci come società multietnica, aperta alle frontiere, ai confini europei, di una ormai confusa identità ottenebrata e degradata dal consumismo esasperato, dal livellamento culturale delle coscienze, da stravolgimenti economico/sociali apportati dagli ingenti fenomeni di capitalizzazione industriale delle risorse collettive, solo diventando attori del proprio sé, protagonisti consapevoli della propria storia di vita e di formazione, sarà possibile recuperare i valori significanti di confronto e arricchimento culturale ed interetnico vicendevole, nell’ambito di pluralità d’identità interagenti all’interno del tessuto sociale, mediante l’interscambio, accoglienza ed accettazione, non falsamente ed ipocritamente tollerante del “diverso”, dell’”altro da sé”, dell’immigrato, straniero, portatore di novità, di cambiamento, nella certa e riconquistata consapevolezza, data dalla riflessione sul personale passato storico, collettivo e individuale, soggettivo, volta a rispondere alle domande esistenziali ultime, cardine dell’uomo e della memoria dei tempi: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. di Laura Tussi (politicamentecorretto.com)

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