“Io sono come loro”. Joseph guarda il cielo e le nuvole viaggiare libere nella notte. Poi con un bastone ravviva le fiamme del focolaio. Il fuoco accende il buio e gli illumina il volto giovane.
Seduto vicino a lui, sulla terra umida d’Irlanda, lo ascolto raccontarmi la sua storia. Ha 31 anni ed è un Tinker (travellers), uno dei 23 mila “zingari” dell’Isola di Smeraldo: un’anima “nomade” dal sangue in fermento. Vive così da sempre, come i genitori, i nonni, gli avi.
L’ho incontrato fuori Dingle nel Kerry mentre con il carro attraversava le strade strette e impervie. A trainare la sua casa – come la definisce lui – c’erano due cavalli dai forti garretti, un manto vellutato di bianco e nero, il fiato corto della fatica. Ora sono qui con noi, in uno spiazzo verde a ridosso dell’asfalto bucato: godono il riposo dell’oscurità e il fieno rigenerante.
“Io vivo di vento, di spazi vuoti, di orizzonti senza confine”, mi dice Joseph con naturale disincanto, come se questa fosse l’unica vita possibile per lui. “Ne ho conosciute altre, ma non mi piacciano. I miei genitori mi hanno mandato nelle scuole pubbliche, ma non le sopportavo. Scappavo ogni volta che potevo”.
Chiudersi nell’aria stantia di un edificio, per lui sarebbe la morte. Joseph ha scelto la strada, e la strada è l’unica via da seguire sempre. “Non mi manca niente, ho tutto quel che desidero. Soprattutto la libertà di essere ciò che sono”.
Questo giovane Tinker ha le idee chiare come il suo inglese fluente. “Ma quando mi incontro con gli altri parliamo la nostra lingua, il Shelta”, mi spiega mentre torna a ravvivare il focolaio.
L’origine di quest’idioma ha origini antiche: si pensa che gli Irish Travellers siano discendenti di poeti viaggiatori, messi al confine della società dopo le campagne di Oliver Cromwell sull’Isola: la Battaglia del Boyne nel 1690 e quella di Aughrim nel 1691.
Alcuni di loro sono figli dell’emarginazione e della povertà della Great Famine, la Grande Carestia che colpì e falcidiò l’Irlanda tra il 1845 e 1852, lasciando in assoluta povertà la popolazione di quel tempo.
Nella terra di Erin, però, tutti li conoscono ormai come Tinkers. Il nome si riferisce al loro lavoro come stagnini (tinsmiths) ed è usato in modo quasi denigratorio. Eppure questa gente, che non ha accettato il vorticoso vivere moderno, trattiene in sé orgoglio e passione e mantiene vivo un mondo quasi scomparso.
Nelle loro case-carro suonano antiche melodie gitane e lavorano a mano oggetti unici: fiori di metallo, cucchiai intarsiati. Che poi rivendono per pochi spicci o barattano con cibo e vestiario. E tu come fai? Chiedo a Joseph.
“Io mi arrangio, facendo un po’ di tutto. Quando ho bisogno di qualcosa, mi fermo in un posto, lavoro per qualche giorno, soprattutto nelle fattorie. Mi faccio pagare con cose utili, non con denaro. E riparto”. La strada, sempre.
Il fuoco si sta spegnendo. Accendo l’ultima sigaretta e ce la dividiamo. Poi, insieme, guardiamo il cielo e le nuvole viaggiare libere nella notte. di Andrea Lessona
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