venerdì 17 aprile 2009

Italia e India, un racconto carico di stereotipi e pregiudizi

Renato Rosso ama comunicare e condividere le sue esperienze, e, partendo da esse, riflettere sul nostro quotidiano. Questa volta lo fa con “storie parallele” di popoli sinti e rom, quelli che abitano Paesi lontani, terre di antica origine, e quelli insediati in Europa, in Italia.
Renato Rosso: 36 anni di missione itinerante (Bangladesh, India, Filippine, Brasile, Italia…) al servizio di comunità diverse dell’universo rom e sinto. Un inconsueto tipo di presenza, non sempre stabile, ma che ha costruito, con tempo e fatica, una Chiesa in realtà che senza di lui forse non sarebbero mai state raggiunte. Presenza di crescita umana e spirituale in comunità non cristiane; soprattutto animando scuole - sovente itineranti su barche, o nei pascoli… - disegnate sul modello di vita degli alunni. Suscitando energie, formando persone che finora hanno assicurato non solo continuità ma anche crescita delle iniziative, grazie alla loro testimonianza.
Ha senso guardare in parallelo le "civiltà nomadi" che tu incontri in Asia e quelle dei Balcani, dell’Italia e di altri Paesi?
Io parlerei di "nomadi" nel mondo. Inclusi i nostri, qui in Italia, tutti partono dall’India nord occidentale, 700-800 anni fa. In Grecia li troviamo già nel 1300 e nel 1400-1420 in Italia; pochi anni dopo in Francia, in Spagna e in breve in tutta Europa. Ancora prima, nel 1700 a.c., nasceva la "cultura nomade" beduina in Arabia, allargandosi poi nel Nord Africa e fino all’Afghanistan, all’India. La sedentarizzazione inizia più o meno 12.000 anni fa, ma nell’Asia poco tempo fa. Alcune frange sono rimaste "nomadi", e sono quelle che noi incontriamo oggi. Personalmente, ho elencato 440 di questi gruppi, "nomadi o seminomadi", nel subcontinente indiano.
Esistono similitudini tra "zingari" europei e "zingari" del subcontinente indiano?
Sono molto simili. È il tipo di vita che crea il loro modo di essere: il vivere sotto il cielo, il contatto con la natura. Cambiano il modo di vestire, le lingue. Però il modo di pensare, di fare politica all’interno del gruppo, di relazionarsi con gli altri sostanzialmente è simile. Per esempio il gruppo - una quindicina di famiglie - si difende con un capo, eletto e che ha l’ultima parola; hanno un tribunale loro, con avvocati e giudici eletti. Non fanno riferimento alle autorità locali. È interessante il fatto che nel loro vivere la politica presentano una democrazia diversa, non riferita ad un’ideologia. Il segreto è considerare ogni membro del gruppo come uno della mia famiglia.
Di questa cultura, conosciuta solo attraverso pregiudizi, quali sono secondo te i valori importanti?
Il valore centrale è la famiglia, la loro ricchezza sono i figli. Non hanno altro. In Europa come in Bangladesh, quando uno ha sbagliato viene giudicato ed eventualmente punito, sempre però tenendo conto che potrebbe essere mio figlio, mio fratello. Ci si relaziona con una persona e la sua storia, non con un numero. Pensa quale rivoluzione! Ci sono altri aspetti interessanti, come la possibilità di fare scelte meno dipendenti da norme formali. Ovviamente l’istinto è anche un limite: promuovere la scuola per loro è proprio lavorare su questo. Anche la religiosità è un valore cui danno grande importanza. Con la nostra presenza cerchiamo proprio di arricchire tutti questi elementi.

Che tipo di rapporto vive il "nomade" con la società che lo circonda?
Rimangono minoranze. Uno "zingaro" in Italia è visibilmente diverso da chi vive in una casa. Anche se, in tutto il mondo, la casa non è la roulotte, la carovana o la tenda: la casa è l’accampamento. Dove tutti vivono e i bambini sono educati al ritmo del gruppo, dal gruppo intero. La famiglia nucleare esiste, però è nel gruppo che si decide, per esempio, di mandare i bambini a scuola; papà e mamma potrebbero arrivarci un po’ prima, ma dovranno aspettare il gruppo. È sempre il gruppo che deve essere motivato e non un singolo. Sia qui che in India poi - benché in India la gente comune dei villaggi possa essere più povera degli "zingari" - lo "zingaro" è una persona di cui si ha paura. Perché è nomade, e non sai da dove viene e dove va.
Solo timore, non fascino?
Anche, le due cose si mescolano. Per esempio, gli "zingari" la sera si riuniscono e cantano, danzano; questo crea un certo fascino, ma il timore e il disprezzo restano. Molte volte anche da parte di chi, "zingaro", si è sedentarizzato. Uno dei motivi è l’assenza del concetto di proprietà privata, che rende liberi nel rubare. Cosa che in Asia è rarissima: c’è poco da rubare, i ricchi sono pochi e si difendono molto bene; e normalmente i "nomadi" lavorano tutti. Qui in Europa la situazione è diversa. In passato procurarsi il sostentamento non era difficile, incluso razziare qualche gallina… Poi la società è cambiata, le esigenze anche e le piccole delinquenze sono diventate organizzate; oggi abbiamo anche in mezzo a loro una criminalità pesante.
Non c’è più uno spazio economico per un’attività tradizionale. Occorre avere altre capacità…
Certo. È già accaduto in Asia, ma in Europa è stato appunto diverso. Nel polverone riguardo al "mondo zingaro" in Italia, parte del problema è però aggravato da una corruzione che ci riguarda. Ci sono avvocati che lucrano su di loro. Se qualche anno fa con 5 milioni di lire si faceva un processo, oggi si chiedono 100 o 150mila euro. In qualche modo si è detto loro: non è importante essere onesti o disonesti, rubare o non rubare, ma avere tanti soldi per risolvere i problemi. Se rubi poco, rimani in prigione.
Il rischio è che il resto della società pensi che gli "zingari" sono i nemici, e che loro pensino che il resto della società è il nemico. È un cane che si morde la coda. Gli "zingari" arrivano da noi con una certa ingenuità, con una fisarmonica, un bicchiere di plastica, girando sotto le finestre, suonando. Però poi lentamente sono assorbiti dalla criminalità organizzata, per la quale più sono meglio è. A volte sento dire: “Io non voglio, ma cosa faccio? Mi obbligano”.
Moltissimi Sinti e Rom per fortuna lavorano: da trent’anni a questa parte sono entrati nei Luna Park e nei circhi. Un lavoro pesante ma dignitoso. Ultimamente hanno anche altre attività, come paninoteche ambulanti, bar… una Sinta era entrata giovane al mattatoio di Torino: ora avrà trent’anni ed è capo reparto, per la sua intelligenza, per la sua onestà, per la sua capacità.
Chi lavora si sedentarizza?
Vivono nel campo, nella roulotte con gli altri, ovviamente una vita sedentaria perché chi ha un lavoro fisso non può spostarsi. Intanto i loro parenti e gli altri svolgono altre attività, qualcuno non ne fa nessuna… c’è di tutto.
Uno dei problemi, oggi, é l’arrivo di nuovi gruppi dall’est. Secondo me l’unica via d’uscita è che anche noi italiani decidiamo di diventare una nazione più onesta. Una nazione davvero fondata sul lavoro, dove chi non lavora non mangia. Dove chiunque, se ruba o delinque, è punito, in proporzione alla gravità del fatto, senza scappatoie. Continua a leggere…

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