giovedì 30 aprile 2009

Milano, un ceto politico immaturo

Le sbarre sui Bastioni, alla Rotonda della Besana, per estirpare un pezzo di rumorosa movida. Le cancellate sotto il cavalcavia Bacula, sigillato dopo lo sgombero della favela. Le barriere attorno al Duomo e a Cordusio, alla Scala e a Sant´Ambrogio, immaginarie ma concretissime, per vietare lo spazio pubblico a chiunque abbia qualcosa da manifestare. Milano si chiude. Si barrica. Alza steccati. Come quelli piazzati anni fa attorno a piazza Vetra o al parco Sempione, come la gabbia periodicamente invocata per proteggere San Lorenzo e le sue notti.
Professor Alberto Abruzzese (in foto), lei è ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell´istituto di comunicazione allo Iulm. Che vuol dire chiudere il Duomo alle manifestazioni?
«Che l´amministrazione non riesce ad affrontare la complessità. Anzi, mostra la sua debolezza e la sua impreparazione di fronte a processi che ogni regime democratico è, nei fatti, costretto ad affrontare. Vorrebbe dimostrare senso di responsabilità verso le istituzioni e l´ordine, ma invece di ridefinire le regole, semplicemente, chiude».
Piazza Duomo, poi: senza il centro, quali spazi pubblici restano a Milano?
«Davvero pochi. Questo, in particolare, è deputato storicamente ad essere luogo di aggregazione. Fare scudo così a ogni eventuale elemento di turbativa ha un prezzo davvero eccessivo».
Si creano barriere anche altrove, soprattutto al divertimento notturno dei giovani. Perché?
«Viviamo una fase storica di chiusura rispetto alle apparenti aperture del passato. Lo dico in generale, indipendentemente dalle ispirazioni ideali di questo o quel regime di governo, concorre una povertà culturale e tecnica trasversale. Invece di elaborare il dissenso ci si chiude. Ma c´è da fare un appunto anche a chi usufruisce degli spazi pubblici».
Quale?
«Non c´è nessuno, diciamo nel campo democratico e anche in quello più radicale, che fa nulla per autoregolamentarsi. Bisogna essere più responsabili per non dare appigli a chi vuole reprimere».
Colpa di chi s´inginocchia a terra davanti al Duomo o di chi suona i bonghi, insomma?
«No, colpa di un deficit culturale che viene da lontano, di un ceto politico immaturo che continua a perpetuare lo scontro invece di fare un salto di qualità. Che arriverà quando il governo, chiunque lo guiderà, comincerà ad affrontare i problemi della scuola e dell´università. Fino ad allora, in Italia, correremo serissimi rischi che la situazione degeneri».

Milano, rispetto alle altre grandi città europee, appare la più chiusa ed escludente. Non le pare?
«Lo è certamente, ma ha due alibi. Il primo: la difesa del suo patrimonio culturale. Il secondo: la storica scarsa capacità di correre un rischio e di comunicare sui rischi. Ogni trauma viene visto come un´aberrazione, la regola è l´ordine, l´eccezione è il disordine. Per chi governa una grande città, sarebbe meglio il contrario».
Perché Londra o Parigi non chiudono il centro? Perché a Roma sono permessi i cortei dal Circo Massimo a San Giovanni?
«All´estero c´è più tradizione civica e forme di controllo metabolizzate. A Londra c´è una vasta fascia di città senza un graffito, e all´interno di questa sono garantite più libertà. Roma ha una tradizione di apertura: una stretta protettiva creerebbe più preoccupazione».
Milano sgombera e sigilla anche i campi rom. Abusivi, è vero. La logica però è la stessa. O no?
«Se è quella della paura per il proprio recinto, sì. Lo straniero, il clandestino viene dipinto sempre più come fantasma, come minaccia. E più in generale si soffia sulla paura dell´altro, del cittadino non virtuoso da escludere dalla propria comunità». di Massimo Pisa

Nessun commento: