
Sarei stata contenta se non fosse per il fatto che Ferdi portava con sé una storia «zingara». I critici televisivi ci spiegano che nei reality è arrivata l’ora del «sociale». Largo quindi ai diversi, agli svantaggiati, alle storie commoventi che imperversano su tutti i canali. Così anche al Grande Fratello arrivano gli sfigati e in questo Paese chi è più sfigato di un rom? Ferdi, un rom montenegrino giovane e carino con una storia personale veramente pesante: genitori cattivi, fuga prima a piedi per le montagne del Montenegro e dell’Albania, poi in gommone verso il paese del bengodi, l’Italia, in giro per i campi rom, il padre ubriaco e violento, il suo salvataggio da parte delle forze dell’ordine, il ricovero in un istituto e il riscatto di un lavoro. Ferdi era perfetto se si voleva rappresentare il caso umano e pietoso e nello stesso tempo non rompere i tabù dei luoghi comuni e del pregiudizio. Lui, il bambino vittima ma riscattato, diventato un buon cittadino italiano, i suoi genitori, i rom rappresentano invece faccia cattiva del popolo rom, quella dell’immaginario collettivo, della propaganda leghista, per la quale tutti rom sono ladri, sfruttatori dei figli e ladri dei bambini altrui. I rom che a Roma hanno festeggiato la sua vittoria hanno colto giustamente il lato che a loro interessa di più. Graziano Halilovic ha dichiarato che «per questi ragazzi Ferdi è diventato un modello positivo; per la prima volta in televisione hanno sentito parlare di un rom senza vedere il suo volto associato ad episodi di cronaca nera. Al di là dell´opinione che si può avere sui reality-show la partecipazione di un rom ad una trasmissione televisiva è sentita dagli abitanti dei campi nomadi di Roma come un motivo di orgoglio e di integrazione». Graziano ha ragione, dobbiamo dimostrare che anche uno di noi può integrarsi nella società italiana. E cosa rappresenta di più l’integrazione se non entrare in un reality e addirittura vincerlo? Ora per quanto riguarda Ferdi, è evidente che su di lui si posano tante speranze di un popolo che subisce violenze e umiliazioni quotidiane. Quello che io mi sento di chiedergli è di avere un po’ di orgoglio per la sua identità «zingara», di avere voglia di ritrovare il suo popolo, il giudizio sul quale va al di là della sua drammatica storia personale. Infine, da parte mia lo invito a visitare, se vuole con me, quei reality orrendi che sono oggi i «campi nomadi» in cui le telecamere sorvegliano uomini, donne, bambini notte e giorno e le regole del gioco sono: presidi di polizia e di vigilanza privata, alle dieci di sera per ordine dei Prefetti coprifuoco, permanenza provvisoria e così via. Un gioco nel quale le regole sono per cittadini di serie C e per chi non le accetta c’è l’eliminazione vera, facile, gratuita. di Dijana Pavlovic
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