lunedì 11 maggio 2009

Al mercato della paura

Oramai è impossibile affrontare il tema della "sicurezza" nel dibattito pubblico, ridotto a materia di propaganda politica. Sui giornali e in Parlamento. Se ne parla per catturare il consenso dei cittadini, non per risolvere i problemi. Nel sostenerlo ci pare di scrivere lo stesso articolo. Un'altra volta. Eppure è difficile non tornare sull'argomento. Perché l'argomento ritorna, puntuale, al centro del dibattito politico. Come in questa fase, segnata dalle polemiche intorno al decreto sulla "sicurezza" (appunto). A proposito del quale Franceschini ha parlato di nuove "leggi razziali". Anche se gli aspetti più critici della legge sono stati esclusi dal testo. Ci riferiamo alla possibilità, offerta ai medici e ai pubblici funzionari (i presidi, per esempio), di denunciare i clandestini.
Altre iniziative venate di razzismo invece, non riguardano il governo, ma singoli politici e amministratori locali. Come la proposta di segregare gli stranieri nei trasporti pubblici, a Milano. Assegnando loro posti e vagoni separati. Una provocazione, anche questa. Capace, però, di intercettare consensi, solo a evocarla. La Lega, su questa base, sta costruendo la sua campagna elettorale in vista delle prossime europee. Per conquistare consensi nel Nord, ma anche altrove. Presentandosi come il partito della sicurezza-bricolage, da perseguire in ogni modo.
Anche l'imbarcazione carica di immigrati respinta dalla nostra Marina e consegnata alla Libia rientra in questa strategia politica e mediatica. Serve, cioè, come "annuncio". Esibisce la volontà determinata del governo, ma soprattutto del ministro dell'Interni e della Lega, di respingere l'invasione degli stranieri. Di rimandarli là dove sono partiti. Chissenefrega che fine faranno. Noi non possiamo accogliere i poveracci di tutto il mondo.
Gli alleati di centrodestra, in parte, approvano. In parte no. Comunque, non si possono dissociare, altrimenti la maggioranza si dissolve. E poi non vuole abbandonare l'argomento della paura dell'altro alla Lega. Così Berlusconi approva. Si adegua al linguaggio leghista e dice "no all'Italia multietnica". In aperta polemica con la "sinistra, che ha aperto le porte a tutti". (Anche se i flussi da quando è tornata al governo la destra sono raddoppiati). E la sinistra, chiamata in causa, si adegua: nel linguaggio e negli argomenti. Oppone alla retorica della cattiveria quella buonista (che, in assenza di alternative, preferisco). Denuncia il razzismo. Esorta all'integrazione. Senza, tuttavia, spiegare "come" realizzarla. Si appella all'indignazione della Chiesa (contro cui, peraltro, si indigna quando si occupa di etica). Così la "sicurezza" sfuma in una nebulosa che mixa immagini indistinte. Criminali piccoli e medi, immigrati, “zingari”, stranieri. Ridotti a slogan.
Un tema così importante (e critico) dovrebbe venire affrontato in modo co-operativo. Attraverso il confronto e la progettazione comune. Invece, è abbandonato al gioco delle parti. In balia degli interessi e degli imperativi immediati. La "fabbrica della sicurezza" (titolo di una bella ricerca curata da Fabrizio Battistelli e pubblicata da Franco Angeli), d'altronde, si scontra con il "mercato della paura". Il quale non limita la sua offerta all'ambito politico-elettorale, ma presenta una gamma di prodotti ampia e differenziata (come suggerisce una riflessione di Gianluigi Storti). di Ilvo Diamanti, continua a leggere…

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