Paura della libertà è un testo di Carlo Levi che conviene tenere tra le mani in questi giorni. E’ un testo composto nell’inverno 1940, mentre il nazismo si espandeva, la Francia crollava e gran parte dell’Europa dell’Est diventava dominio nazista sotto il nome di “Nuovo ordine Europeo”. Questa era la parola per dire Europa, allora.In quel testo, Levi rivolge un “messaggio in bottiglia” a un lettore che non c’è, comunque che non sa come raggiungere, mettendolo in guardia dal disincanto diffuso per la dimensione politica pubblica.
Descrivendo il rapporto tra cittadino e Stato – ma più correttamente si potrebbe dire tra potere e suddito – Levi denunzia un eccesso della politica proprio sulla base e in forza di una sua spoliazione, ovvero in relazione e in conseguenza di una depoliticizzazione dell’individuo che gli sembra il carattere proprio dell’anticamera dei totalitarismi.
E spiega come sia nella paura il cuore della macchina generativa del potere. Un potere che proprio mentre denuncia i mali della politica e tenta di accreditarsi attraverso l’offerta di protezione salvifica, riconferma la sua vocazione ad espropriare chiunque della sua possibilità e facoltà di decidere. di David Bidussa, newsletter l'Unione informa - 17 maggio 2009/23 Yiar 5769
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