Egregio Senatore, Amnesty International desidera esprimere viva preoccupazione per le proposte incluse nel disegno di legge C.2180-A/09, il cosidetto ‘pacchetto sicurezza’, approvato dalla Camera il 14 Maggio 2009 e ora passato all’esame in Senato come disegno di legge S. 733-B/09. Amnesty International ritiene che alcune delle norme proposte violerebbero i diritti di immigrati e richiedenti asilo; inoltre il testo introdurrebbe norme che sembrano essere discriminatorie e avere potenziali effetti discriminatori in particolar modo nei confronti di Rom e Sinti.
Amnesty International in particolare vuole esprimere preoccupazione circa le seguenti parti del disegno di legge:
Norme che “criminalizzano” l’immigrazione irregolare
Il disegno di legge, all’ art. 21, stabilisce il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. La norma criminalizza l’entrata irregolare e il soggiorno in Italia, e li punisce con un’ammenda tra i 5000 e i 10000 Euro. Secondo il nuovo disegno di legge, i procedimenti penali contro i richiedenti asilo senza permesso di soggiorno verrebbero sospesi nel caso in cui la domanda di riconoscimento di protezione internazionale sia stata presentata, e archiviati se tale domanda sia stata accettata.
Molti organismi per i diritti umani, incluso il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani dei Migranti nel suo rapporto del 2007 ((UN Doc. A/HRC/7/12, paragrafo 50), e il Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria in un rapporto del 2008 (UN Doc. A/HRC/7/4, 10 gennaio 2008, paragrafo 53), hanno chiesto agli Stati di non punire come reato l’ingresso irregolare nel loro territorio, sottolineando che la posizione irregolare di un individuo non può essere usata dagli Stati come ragione per non assolvere all’obbligo di proteggere ciascun individuo da violazioni dei suoi diritti.
Sebbene gli Stati abbiano il diritto e il potere di regolare l’immigrazione, ciò deve essere fatto senza violare i diritti umani. Come già più volte sottolineato da meccanismi speciali sui diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, l’immigrazione irregolare dovrebbe essere considerata solo un illecito amministrativo, senza pregiudizio dei diritti fondamentali dei migranti.
Amnesty International esprime preoccupazione per le norme proposte, e per le conseguenze della loro applicazione, ed in particolare per l’imposizione di sanzioni penali per l’entrata e/o soggiorno irregolari in Italia. Si tratta di misure di controllo sull’immigrazione eccessivamente severe, che violano gli obblighi del governo italiano posti dal diritto internazionale sui diritti umani. In particolare creano minacce per i diritti umani dei migranti, come il diritto alla salute e all’istruzione, e il diritto a registrare la nascita all’anagrafe, e di conseguenza il diritto al riconoscimento di ogni persona di fronte alla legge.
L’ introduzione del reato d’ingresso e soggiorno illegale avrebbe ulteriori conseguenze a causa della applicazione congiunta di tale norme e di esistenti norme penali. In ottemperanza alle norme di cui agli artt. 361 e 362 c.p., tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio (funzionari e impiegati di enti pubblici, insegnanti, personale del Servizio Sanitario Nazionale, impiegati dei Comuni incaricati del rilascio di carte d’identita’ e documenti ecc.) hanno l’obbligo di denunciare alla polizia o alle autorità giudiziarie i reati di cui abbiano notizia nell’esercizio delle loro funzioni. Se il disegno di legge venisse approvato, l’obbligo ex artt. 361 e 362 c.p. si estenderebbe alla denuncia di tutte le persone in posizione irregolare dal punto di vista delle norme sull’immigrazione. L’omissione di tale denuncia si configurerebbe come reato punibile con una multa o, in alcuni casi, con la reclusione fino ad un anno.
Temiamo che l’introduzione del reato d’ingresso e soggiorno illegale, in connessione con le norme che criminalizzano l’omessa denuncia di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, costringa coloro che hanno una posizione irregolare dal punto di vista della normativa sull’immigrazione a non curarsi presso le strutture sanitarie pubbliche, anche nei casi più gravi e urgenti, per paura di essere denunciati alla polizia.
Amnesty International nota che una precedente proposta di abrogare o modificare l’art. 35 comma 5, del Testo Unico sull’immigrazione (D. LGS286/98), che vieta agli impiegati del Servizio Sanitario di denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno, e’ stata esclusa dal disegno di legge. Tuttavia rimarrebbero salvi gli effetti negativi suesposti dell’applicazione degli artt. 361 e 362 c.p. in combinato disposto con la norma che istituisce il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
Tale situazione violerebbe gli standard internazionali relativi al diritto fondamentale alla salute, tra cui l’art. 12 della Convenzione Internazionale per i Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR); l’art. 35 della Carta dei Diritti fondamentali nell’Unione Europea; l’art. 32 della Costituzione Italiana. Come stabilito dalla Corte Costituzionale, tale ultima norma crea obblighi diretti gravanti sullo Stato e su ciascun soggetto a non violare il diritto alla salute altrui.
Analogamente, sebbene la norma che avrebbe esplicitamente obbligato i dirigenti delle scuole statali a denunciare alla polizia gli stranieri in posizione irregolare, i cui figli sono iscritti alle scuole da loro dirette, sia stata esclusa dal disegno di legge, l’obbligo di segnalazione, posto dagli artt. 361 e 362 del codice penale, permarrebbe comunque per tutti coloro che lavorano presso una scuola pubblica, se il reato di immigrazione irregolare venisse introdotto.
Inoltre l’effetto del combinato disposto della norma che introducesse il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato e della norma proposta nel disegno di legge ora in approvazione (art. 45) che modifica l’art 6 comma 2, del Testo Unico in materia d’immigrazione (L.286/1998), potrebbe consistere nella violazione gli obblighi dello Stato italiano a rispettare e proteggere il diritto di registrare le nascite e il diritto di ciascun soggetto ad essere riconosciuto dalla legge.
L’ introduzione dell’art. 45 del disegno di legge, infatti, avrebbe l’effetto di imporre la presentazione di documento idoneo a provare la presenza regolare in territorio italiano per gli atti. Tale obbligo si estenderebbe anche alla registrazione all’anagrafe della nascita di un figlio.
Le conseguenze potrebbero essere gravissime, in particolare per le donne con statuto irregolare che partoriscono sul territorio italiano; esse potrebbero trovarsi nell’impossibilita’ di registrare la nascita del figlio.
Sebbene Amnesty International sia consapevole del fatto che le donne in stato di gravidanza non in possesso di valido titolo per soggiornare in Italia possono richiedere un permesso di soggiorno per un periodo non superiore ai sei mesi dopo il parto (in base al Testo Unico sull’immigrazione - L. 286/1998, art. 19 - in combinato disposto con gli artt. 9 e 28 DPR 394/1999), questa possibilità è concessa solo a condizione che venga presentato un passaporto o documento equipollente. Se la madre naturale non possiede un passaporto non potrà ne ottenere un permesso di soggiorno ne riconoscere il figlio nato in Italia. Ai padri di tali figli che siano immigrati irregolari sarebbe in ogni caso precluso il riconoscimento del figlio.
Inoltre se la madre priva di documentazione che la autorizzi a permanere nel territorio italiano tentasse di registrare il figlio presso l’ anagrafe, correrebbe il rischio di essere denunciata per il reato di immigrazione irregolare; l’incaricato del servizio pubblico dell’anagrafe potrebbe correre il rischio di denuncia penale se omettesse di denunciare la donna.
Le conseguenze di queste disposizioni produrrebbero un contrasto con gli obblighi del governo italiano al rispetto e alla protezione del diritto del bambino a essere riconosciuto davanti alla legge e ad essere registrato, diritti garantiti dagli articoli 16 e 24 del Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici (ICCPR) e della Convenzione ONU sui Diritto dei Fanciulli. Inoltre le donne in gravidanza in posizione irregolare dal punto di vista delle norme sull’immigrazione potrebbero rinunciare a partorire presso un ospedale o decidere di non cercare assistenza medica, per paura di essere denunciate alla polizia.
Il disegno di legge, all’art.6, impone l’obbligo al cittadino non membro dell’Unione Europea, che vuole unirsi in matrimonio in Italia, di presentare un permesso di soggiorno valido. Tale norma sembra essere in contraddizione con l’art. 23 comma 2 dell’ ICCPR, relativo al diritto di costituire una famiglia legittima. La norma proposta violerebbe sia il diritto del cittadino di Stato non membro dell’Unione Europea che vuole unirsi in matrimonio, che il diritto del cittadino di Stato membro della UE che desideri unirsi in matrimonio con un soggetto privo di autorizzazione a restare in territorio italiano.
Norme che potrebbero avere un impatto negativo sui diritti di persone vulnerabili sulla base della registrazione ai fini della residenza
Il disegno di legge, all’ art.50, prevede che tutti coloro che sono ‘senza fissa dimora’ siano registrati presso il Ministero dell’Interno. I senzatetto e coloro che vivono in alloggi in condizioni igienicosanitarie non idonee (in maggioranza migranti e richiedenti asilo) o in case mobili (in maggioranza Rom e Sinti) saranno cancellati dall’anagrafe del Comune dove risiedono e verranno schedati in apposito registro istituito presso il Ministero dell’Interno.
Il disegno di legge prevede che tutti coloro, ‘senza fissa dimora’, che desiderano spostare la residenza in altro Comune, potranno fare domanda di iscrizione al registro dei residenti, anche dopo essere stati cancellati dal registro anagrafico dei residenti del Comune dove risiedevano precedentemente. I Comuni avranno tuttavia il diritto di rifiutare la registrazione di un soggetto nei propri registri dei residenti qualora ritengano che le condizioni di alloggio del richiedente non siano conformi a standard igienico sanitari (art.42). I Comuni potranno negare la registrazione, con amplissimo margine di discrezionalità, dopo 30 giorni dalla proposizione della richiesta, in attesa della verifica dei requisiti di residenza posti dalla legge in discussione.
La registrazione come residente presso un Comune è un requisito per ottenere l’accesso alle cure sanitarie (con l’eccezione di quelle di emergenza) nella località ove un soggetto risiede, e per ottenere accesso all’ assistenza sociale; per ottenere il rilascio di un documento d’identità; per poter votare nel luogo di residenza, per chi gode dei diritti elettorali, nelle elezioni amministrative, europee e nazionali.
Perciò le nuove norme, se approvate, potrebbero avere l’effetto di negare ad alcuni soggetti il diritto di godere dei suesposti diritti a parità di condizioni con gli altri aventi diritto. Dal disegno di legge non traspare chiaramente in che modo i soggetti che saranno inclusi nel registro nazionale per i ‘senza fissa dimora’, una volta cancellati dai registri anagrafici dei Comuni ove sono residenti, potranno accedere ai servizi sanitari, e assistenziali, come potranno ottenere il rilascio di carte d’identità e altri documenti, e dove, se godono del diritto di voto, potranno votare.
Ulteriore conseguenza di queste norme sembra essere che sulle carte d’identità e su altri documenti questi soggetti sarebbero indicati come “senza fissa dimora”. Ciò potrebbe sfociare in situazioni di stigmatizzazione e discriminazione da parte delle forze dell’ordine e del personale addetto alla sicurezza, o da parte di altri soggetti, pubblici o privati, per esempio nella ricerca di un posto di lavoro.
Poichè inoltre, secondo informazioni ricevute da Amnesty International, la maggior parte di coloro che vivono in case mobili sono Rom e Sinti, e molti fra coloro che vivono in abitazioni prive dei requisiti di idoneità sono immigrati irregolari, l’organizzazione teme che le nuove norme abbiamo un effetto discriminatorio nei confronti di questi gruppi.
Il livello di discrezionalità concesso alle autorità locali nel decidere quando i soggetti facenti richiesta di registrazione all’anagrafe dei residenti siano in possesso di tutti i requisiti richiesti è preoccupante.
L’esercizio di una discrezionalità così ampia potrebbe tradursi in comportamenti discriminatori e nell’arbitrario rifiuto di registrare in particolar modo coloro che vivono in case mobili, se gli incaricati del Comune alla verifica dei requisiti dichiarano che la loro presenza nel territorio del Comune non costituisce stabile dimora, e nei molti casi in cui, per esempio, Rom e Sinti che vivono in case mobili non hanno accesso all’ acqua e ai servizi sanitari.
Amnesty International esprime dunque viva preoccupazione poichè l’applicazione della legge, se approvata, sebbene apparentemente neutrale, potrebbe avere effetti negativi in maniera sproporzionata su Rom e Sinti, oltre che su altri gruppi per il solo fatto della loro situazione economica precaria. Ciò potrebbe condurre a situazioni di grave discriminazione indiretta.
Le norme sopra esposte sono a rischio di violare gli obblighi internazionali sanciti dal Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici, dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani e Libertà Fondamentali, dalla Direttiva Europea 43/2000 (recepita nel D.Lgs 215/2003) e dalla Costituzione Italiana (in particolare l’art. 3, che proibisce la discriminazione e l’art. 16 che garantisce ad ogni cittadino di poter circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale).
Affinchè la legge sia resa conforme con i principi costituzionali e di diritto internazionale, il legislatore dovrà assicurare: 1) che tutti coloro che saranno inclusi nel registro nazionale possano esercitare i diritti a loro riconosciuti dai trattati internazionali e dalla Costituzione in maniera eguale o comunque non discriminata rispetto a coloro che sono registrati come residenti nei registri anagrafici dei Comuni; 2) che il diritto di ognuno ad avere un alloggio adeguato sia protetto e rispettato, anche attraverso l’assistenza da parte delle autorità competenti nell’assicurare il godimento di un alloggio adeguato.
Articolo 52, che legittima l’utilizzo di associazioni di cittadini per il controllo del territorio
Amnesty International esprime inoltre preoccupazione circa l’articolo 52 del ‘pacchetto sicurezza’ in esame al Senato. Se sarà approvato, gli enti locali, previo parere del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, saranno legittimati ad avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle forze di polizia dello Stato, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.
Amnesty International è preoccupata circa la mancanza di chiarezza della norma. Nella sua forma attuale non appaiono definiti l’ampiezza e i limiti dei poteri o dell’autorità conferita a tali associazioni, in particolare il potere di fermare e arrestare soggetti (con particolare riferimento all’applicazione dell’art. 383 c.p.p. che conferisce la facoltà di arresto a privati in determinate condizioni); le qualifiche e la formazione richieste a ciascun soggetto che farà parte di queste associazioni; sotto quale autorità opereranno e dove ricadrà la responsabilità per la supervisione e il coordinamento di coloro che ne faranno parte; quali misure e procedure saranno adottate per assicurare che, qualora ci fossero violazioni di norme nazionali o di standard internazionali sui diritti umani non vi sia impunità per gli aderenti a tali associazioni; chi sarà responsabile per il risarcimento dei danni patiti da soggetti i cui diritti fossero violati da aderenti a tali associazioni.
L’articolo 52 del disegno di legge dichiara che le associazioni di cittadini non armati potranno essere utilizzate al fine di segnalare eventi che possano arrecare ‘danno alla sicurezza urbana’ ovvero ‘situazioni di disagio sociale’. L’esatto significato di questi concetti non è chiaro, e dunque non è chiaro in quali situazioni o a quale scopo le autorità locali si potranno avvalere della collaborazione di tali associazioni.
Amnesty International teme che l’applicazione di tale norma possa condurre a situazioni discriminatorie e di violenza, invece che ad una maggiore sicurezza pubblica e ad un maggior rispetto dello stato di diritto. Non è chiaro se saranno predisposti meccanismi per assicurare che questi gruppi siano chiamati a rispondere delle proprie azioni, anche qualora queste conducano a comportamenti discriminatori o contrari ai diritti di appartenenti a minoranze e a gruppi vulnerabili. Negli ultimi anni Amnesty International e altre organizzazioni hanno documentato attacchi e violenze da parte di gruppi di cittadini nei confronti di Rom e immigrati in varie parti d’Italia; si teme che, invece di condurre ad una riduzione di tali minacce, la potenziale “legittimazione” delle associazioni di cittadini possa sfociare in un livello di abusi e molestie, anche rilevanti penalmente, al contempo più alto e meno palese.
Infatti, se la proposta d’introduzione del reato di immigrazione clandestina venisse approvata, i richiedenti asilo e gli immigrati irregolari rischierebbero di essere presi di mira in maniera più che proporzionale da tali gruppi, e risulterebbero più vulnerabili alle violazioni dei loro diritti: è molto probabile che i richiedenti asilo e gli immigrati irregolari finirebbero per non denunciare alle autorità competenti abusi che dovessero eventualmente subire da parte di appartenenti a tali gruppi, per timore di essere denunciati per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
In base al diritto internazionale sui diritti umani, le autorità Italiane sono tenute a prendere le misure necessarie per la prevenzione di abusi di diritti umani, tra cui la discriminazione, e comportamenti nocivi da parte di privati, per assicurare la tutela di tutti i diritti fondamentali e per l’investigazione e la punizione effettive di tali abusi, ove occorrano.
In linea con il diritto internazionale, inclusa la Convenzione Internazionale per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Razziale (che l’Italia ha ratificato), le autorità italiane devono astenersi da ogni azione o dichiarazione che possa istigare alla discriminazione o all’ostilità nei confronti delle minoranze, inclusi Rom, Sinti e migranti. Le autorità italiane non devono adottare alcuna norma, come l’art. 52, che possa sfociare in discriminazione a meno che possano dimostrare che tale legge non violi gli obblighi dell’Italia a tutelare i diritti umani, compreso il diritto a non essere discriminati.
Per le ragioni sopra esposte, Amnesty International chiede al Governo e al Parlamento italiani di assicurarsi che ogni norma adottata nel contesto del ‘pacchetto sicurezza’ sia in linea con gli obblighi internazionali di cui l’Italia e’ firmataria.
Amnesty International ha scritto a questo proposito al Ministro dell’Interno, Onorevole Roberto Maroni. Copia di tale lettera è stata inviata all’Onorevole Franco Frattini, Ministro degli affari esteri.
Distinti saluti, Nicola Duckworth (Amnesty International, Direttore Programma Europa e Asia Centrale)
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