sabato 20 giugno 2009

Nel deserto dei valori non c'è pietà - parte 1

Caro amico di destra, ieri ho capito che governerete per i prossimi trent’anni. Mi è bastato ascoltare, per cinque minuti, i commenti della gente davanti alla nave dei profughi in arrivo sulle coste italiane. Nessuna pietà. Quei commenti dicevano che la lotta non è nemmeno politica. La destra non è più un partito. Lo era una volta, come tu mi dici, quando c’era la passione. Oggi è un’altra cosa. Non c’entra con lo stato, la società, i valori. Non è un ideale ma una mentalità. Nasce da un pensiero medio che ha già vinto su scala europea. Anche laddove si vota dall’altra parte. È stato specialmente un commento a gelarmi. La tv mostrava le immagini di una madre che partoriva al termine della traversata dello Ionio, venendo poi trasportata in volo all’ospedale dalla carretta dei disgraziati.

“Perché – diceva un signore – se mi ferisco in montagna l’elicottero lo pago io, mentre se partorisce un clandestino paga lo Stato?” Non è valso nessun ragionamento, nessuna obiezione. Nemmeno dire: tu vai a divertirti, loro no.

Anzi: le altre persone accorrevano a sostegno della tesi accusatoria. Dicevano per esempio: perché le case Iacp agli zingari e a me no? Perché un italiano che investe un bambino va in galera e uno straniero viene solo espulso? Perché non restano a rubare a casa loro? Nemmeno una voce contraria. L’equivalenza immigrazione-delinquenza era granitica, consolidata, incrollabile. Non cedeva nemmeno di fronte al mistero della maternità e al suo contenuto sacrale.

Mi sono chiesto in che buco nero, in che deserto di valori siamo caduti. Ho perso la calma. Ho persino alzato la voce. Ma in realtà non gridavo contro il mio interlocutore, era una brava persona, un uomo onesto, un lavoratore. Protestavo con me stesso: contro la mia incapacità di far valere le mie ragioni. Gridavo per non ammettere che “Solidarietà” era diventata una parola vuota.

Poi è arrivato un altro pugno nello stomaco. “Perché a mio padre che scappava dall’Istria hanno tirato le pietre, mentre a questa gente stendiamo tappeti rossi?”. Era la quadratura del cerchio. La vecchia ingiustizia subita non provocava nessuna pietà per gli esuli di oggi. Anzi, aumentava la rabbia e il rifiuto. Anche qui vinceva la tesi di Oriana Fallaci. Quella per cui “Noi” siamo emigrati per lavorare; “loro” per delinquere e odiarci. Di Paolo Rumiz

1 commento:

Anonimo ha detto...

Le espressioni sgradevoli e inumane spesso proferite nei riguardi degli immigrati, e per rimanere in tema, verso i Rom sono il riflesso di pregiudizi radicati nella nostra società dalla notte dei tempi.Ritengo, tuttavia, che non sia solo l'attuale regime politico ad alimentare quest'ondata di razzismo. Spesso è l'accanimento mediatico a portare all'estremo certe situazioni. Quanti fiumi di parole i giornali e altri mezzi di comunicazione di massa hanno speso per l'assassinio di Antonellla Reggiani da parte del rumeno Romulus Mailat? Oppure quante bambine sono state prelevate dai loro campi per accertare, attraverso l'esame del DNA, se si trattava di piccole rom o di Denise Pipitone? Certo stupri, furti vanno puniti, sono inaccettabili, sul piano giuridico e civile. Quanti italiani abusano delle donne, rubano e di loro spesso non conosciamo l'identità?