La questione della rappresentanza delle minoranze sinte e rom è da sempre un annoso problema a cui si sono confrontati in molti senza successo. Infatti oggi non esiste una rappresentanza nazionale come ad esempio esiste per gli ebrei italiani, attraverso l’UCEI. Le ragioni sono molteplici ma è forse utile provare a riflettere su alcune di queste.
In primo luogo i Sinti e i Rom in Italia sono un gruppo omogeneo per i razzisti che di fatto li denominano “zingari”. Come per altro succede per qualsiasi “nazione/popolo”, vedi ad esempio la Gran Bretagna (Galles), la Spagna (Paesi Baschi)…, i Sinti e i Rom sono di fatto un insieme di comunità, con origine comune nella penisola indiana, che si differenziano per norme sociali, culturali, religiose, linguistiche… Inoltre, si differenziano anche per nazionalità perché come molti sanno in Italia sono presenti Rom provenienti sostanzialmente dalla ex Yugoslavia, di cui molti sono però oggi Cittadini italiani, e dalla Romania. Ne consegue che i problemi con cui si confronta ogni giorno un Rom kossovaro sono diversi da quelli di un Sinto Estrekaria e che sono ancora diversi dai problemi con cui si confronta un Rom Abruzzese e che sono ancora diversi dai... Tutti però si devono confrontare con il problema del razzismo.
Questo è il primo problema serio perché c’è chi non vuole riconoscere queste differenze, compresi alcuni leader rom e sinti, rimane di conseguenza legato ad una visione che nega la ricchezza plurima presente. Queste differenze si traducono anche in rivendicazioni molto diverse, come per esempio la questione del “nomadismo”. Un Sinto Estrekaria che ha l’attività di spettacolo viaggiante chiederà che vi siano aree in ogni Comune dove potersi fermare con la roulotte per svolgere la propria attività lavorativa. Un Rom abruzzese che svolge l’attività di muratore chiederà di non essere trattato come un “nomade”. Questo crea tensioni molto forti, soprattutto perché certi leader sinti e rom non riescono ad abbracciare la molteplicità dei bisogni espressi.
Il secondo problema è che le culture sinte e rom in Italia sono ancora oggi essenzialmente culture orali. Pochissimi leader sinti e rom hanno fatto studi superiori o universitari e questo comporta una grossa diffidenza reciproca tra gli stessi leader. C’è chi afferma che la partecipazione dovrebbe essere ampia e chi invece chiede una partecipazione “qualificata” che però di fatto ferma la stragrande maggioranza dei Sinti e dei Rom “al palo”. Il risultato è che fino ad oggi a i leader “qualificati” cadono nell’autoreferenzialità perché rappresentano esclusivamente loro stessi. Inoltre, non è da sottovalutare che tantissimi Sinti, negli anni passati, si sono sentiti trattare con disprezzo da tanti Rom “qualificati” e che quindi oggi anche il più piccolo equivoco può far credere di essere usati e strumentalizzati.
Il terzo problema è dato dallo stato in povertà di tantissimi Sinti e Rom. Difficile pensare alla rappresentanza, quando ogni mattina alzandoti non sai se riuscirai a dar da mangiare ai tuoi figli. Ogni giorno si lotta per la sopravvivenza e questo porta in secondo piano tutto il resto, seppur considerato importante. E certo le politiche sociali, fino ad ora utilizzate, hanno fallito nella stragrande maggioranza dei casi. Ma è da sottolineare che i Governi italiani, succeduti in sessant’anni, non hanno mai promosso progetti per sostenere la rappresentanza dei Sinti e dei Rom. Solo alcune realtà locali, come ad esempio la Provincia di Mantova, hanno supportato progetti di promozione e/sostegno per la partecipazione e la rappresentanza dei Sinti e dei Rom. Questo fatto frena in maniera considerevole la partecipazione e di conseguenza la rappresentanza perché ancora oggi molti leader sinti e rom devono personalmente reperire le risorse per partecipare ad incontri. Il risultato è che solo chi vive a Roma o in prossimità della Capitale può partecipare ad incontri con il Governo italiano e non solo.
Il quarto problema è dato dal razzismo che permea tutta la società italiana verso i Sinti e Rom. Questo problema ha diverse sfaccettature che ricomprendono anche i primi tre problemi. Perché ad esempio se fosse offerto più spazio e dignità alle culture orali, il problema della partecipazione svanirebbe come neve al sole. O se le politiche sociali avessero offerto realmente percorsi di uscita dalla povertà, la partecipazione sarebbe certamente più ampia. Ma le politiche discriminatorie messe in atto dallo Stato italiano hanno prodotto conseguenze gravi anche all’interno delle stesse minoranze sinte e rom. Ne voglio affrontare una in particolare.
Ancora oggi le Istituzioni chiedono che sia introdotto il cosiddetto “numero chiuso”. In un dato territorio non possono vivere più di un dato numero di Sinti e Rom. Questo messaggio non è una novità degli ultimi anni ma è stato una costante nel rapporto tra queste minoranze e le Istituzioni.
Questo problema è emerso in maniera forte in Italia negli Anni Settanta perché in quegl’anni vi è stata in molte comunità sinte e rom italiane un’esplosione demografica, dovuta alle mutate condizioni di vita (accesso alle protezioni sociali e sanitarie). E nello stesso tempo sono andate in crisi molte attività lavorative svolte da Sinti e Rom, in particolare lo spettacolo viaggiante. Inoltre, inizia l’emigrazione dalla ex Yugoslavia con comunità sempre più consistenti provenienti in particolare dall’attuale Bosnia Erzegovina e dalla Serbia.
Questi tre accadimenti hanno comportato un nuovo atteggiamento da parte dello Stato italiano, in particolare i Comuni. I Sinti e Rom, visti attraverso gli stereotipi, possono stare sul territorio solo se sono pochi e quindi “controllabili”. Il messaggio lanciato a suon di sgomberi è stato: “un certo numero di famiglie le possiamo tollerare ma se ne arrivano degli altri vi cacciamo tutti”. E si chiedeva alle stesse famiglie Rom o Sinte di controllare il territorio: “se non vuoi essere cacciato di agli altri di non venire qui!”
Questo messaggio è quindi lanciato dalle amministrazioni alle famiglie sinte e rom da quasi quarant’anni, soprattutto nelle regioni del Nord Italia, dove è stata più alta l’esplosione demografica e il fenomeno dell’immigrazione. Nello stesso periodo le Amministrazioni comunali iniziano ad emettere le ordinanze sindacali di “divieto di sosta ai nomadi” che rafforzano sempre di più il messaggio originario: “va bene, fino a quando ci siete voi ma se arrivano altri vi cacciamo tutti!”.
Questa situazione la possiamo vedere, ad esempio, oggi a Rimini. Alle richieste di incontro, formulate dall’associazione Sucar Mero all’Amministrazione Comunale sulla drammatica situazione igienico-sanitaria presente nel “campo nomadi”, il Sindaco ha risposto:
“Ritengo utile precisare la posizione dell’Amministrazione Comunale in merito alla situazione del campo nomadi non autorizzato di via Islanda, sul quale- noto- si sta facendo troppa propaganda disinformata. Innanzitutto vanno distinti i problemi. Quello è da oltre vent’anni a tutti gli effetti uno spazio occupato dalla comunità nomade Sinti. All’inizio- e si sta parlando di fine anni Ottanta- si doveva trattare di una soluzione temporanea. Il suo protrarsi nel tempo è diventato problema difficilmente gestibile nell’ultimo biennio allorché si sono avute decine di nuovi ingressi di persone di origine rumena fuori da ogni controllo e di fatto ‘tollerate’ dagli abitanti del campo. […] Bisogna essere molto chiari su questo: il Comune di Rimini non ha alcuna preclusione al dialogo ma a condizioni chiare. La prima è che quello spazio possa ‘ingrossarsi’ disordinatamente di presenze che non hanno nulla a che fare con la popolazione italiana lì stanziata da anni. E’ una questione della quale si deve fare garante la stessa comunità”.
Il messaggio è chiaro:
1) state attenti perché voi Sinti italiani siete temporaneamente a Rimini;
2) l’Amministrazione Comunale si farà carico dei Vostri problemi solo se cacciate i Rom rumeni arrivati in questi anni.
Oggi l’associazione Sucar Mero, fondata da appartenenti alla Missione Evangelica Zigana e dall’associazione Sucar Drom, risponde al Sindaco che non pensa minimamente di cacciare dei Cittadini europei. Sarà il Comune ad affrontare la questione, verificando la situazione delle poche famiglie presenti e decidendo, in base alla normativa europea e nazionale, se queste stesse famiglie di Rom rumeni possono rimanere a Rimini o no. L’associazione Sucar Mero chiede al Comune di Rimini di aiutare le famiglie rom, così come le famiglie sinte, che stanno faticosamente cercando di costruire un percorso di inserimento.
Di fatto tantissime Amministrazioni comunali hanno utilizzato questo messaggio per anni e tantissimi Sinti e Rom italiani, senza nessuna tutela, hanno soggiaciuto impotenti a tale diktat. Tant’è che già nel 1976 nel libro “adolescenti zingari e non zingari” di Karpati e Sasso (edito da Lacio Drom) alcuni ragazzi nell’immaginare la loro collocazione in una Città ideale, affermavano che bisognava essere in poche famiglie perché altrimenti il Sindaco cacciava tutti.
Questa situazione non è stata vissuta in tutta l’Italia e per esempio l’Abruzzo è stata esclusa da questo fenomeno. L’Abruzzo non ha vissuto una grande immigrazione e l’esplosione demografica è iniziata alcuni anni prima, in pieno boom economico italiano che ha evitato il formarsi di queste politiche razziste. Al contrario chi ha vissuto sulla pelle queste politiche razziste ne è stato profondamente colpito perché è stato cacciato e ha dovuto ricostruire in altri Comuni tutta una serie di relazioni che gli permettessero di poter vivere in un determinato luogo.
Sottovalutare questo problema è molto pericoloso perché è stata ed è la forma di razzismo più subdola ma anche quella che più ha compenetrato le stesse comunità sinte e rom, portando a dispute sterili ed inutili.
Questo problema non è mai stato ne analizzato ne affrontato dai leader rom e sinti che al contrario si sono concentrati sulle discriminazioni subite dai Sinti e dai Rom nell’associazionismo. Tema importante perché l’associazionismo è stato visto, dagli stessi leader sinti e rom, come l’unico sbocco alla rappresentanza. E’ solo nel 2005 con l’elezione di Yuri Del Bar nel Consiglio Comunale di Mantova che tutti i leader sinti e rom capiscono l’importanza di non rimanere imbrigliati nel solo spazio associazione.
Inoltre, la questione della rappresentanza è legata in maniera indissolubile alla questione della partecipazione. Ma partecipazione e rappresentanza sono due cose molto diverse.
La partecipazione, come nella definizione dell’Istituto di Cultura Sinta, deve uscire dall’approccio strumentale. Infatti, questo approccio vede il coinvolgimento dei Sinti e dei Rom come mezzo per raggiungere gli obiettivi di un determinato progetto (di solito pensato non da Sinti e/o Rom) nella maniera più efficiente, efficace e sostenibile. La partecipazione in questo caso può essere una sorta di "condizionalità" imposta dall'alto o il risultato di una mobilitazione "volontaria" che punta all'ottenimento dei benefici materiali offerti dal progetto. Questo approccio è, nel migliore dei casi, quello utilizzato In Italia. In effetti, dispiace affermarlo, ci sono moltissime realtà in Italia che non impiegano nessun approccio alla partecipazione.
L’Istituto di Cultura Sinta ha invece promosso per la prima volta in Italia un approccio diverso che vede la partecipazione come un fine in sé, mirante al rafforzamento del potere dei Sinti e dei Rom (empowerment) in tutti i processi decisionali che li riguardano, accrescendo il loro controllo sulle scelte relative ai processi di cambiamento. Nuove capacità acquisite attraverso il processo partecipativo stimolano un ruolo attivo e dinamico delle comunità sinte e rom che si espande oltre i confini di un progetto particolare e investe processi di trasformazione sociale di più vasta portata.
Mentre il primo approccio privilegia le strutture e i risultati della partecipazione, il secondo si concentra su un processo che non ha necessariamente un obiettivo preciso ma che stimola cambiamenti profondi nei rapporti tra le diverse culture e società: i Sinti e i Rom parte integrante ed interagente in Italia che sanno essere protagonisti nella vita sociale e politica. Uscendo anche dalla visione che i Sinti e i Rom si occupino solo di Sinti e Rom.
In Italia i leader rom e sinti hanno cercato per decenni, senza successo, di arrivare al vertice delle poche organizzazioni pro rom e sinti, presenti in Italia, rimanendo di fatto avvitati in una situazione marginalizzante. Oggi questa fase sembra superata perché sulla spinta di alcune associazioni si è promosso un forte associazionismo partecipativo. Ma permangono problemi da affrontare e se qualcuno pensa di non affrontarli, si ritroverà tra alcuni anni contestato da nuovi e giovani leader rom e sinti che gli contesteranno ciò che oggi si contesta all’associazionismo pro rom e sinti.
La rappresentanza è legata alla partecipazione ma è una cosa diversa. Vi sono diverse forme di rappresentanza: diretta, indiretta (o impropria), organica (o istituzionale). E ognuno si veste o si potrà vestire con la definizione che più gli aggrada. Ma penso che oggi l’unica possibilità è che vi sia un contemperamento delle diverse esigenze presenti. Bisognerà vestirsi in un modo ma affermare che quel vestito non è soddisfacente e quindi promuovere il vestito della rappresentanza organica.
Questo è quello che è stato promosso dall’associazione Sucar Drom, insieme ad altre associazioni, con la costituzione del comitato Rom e Sinti Insieme e di seguito con la costituzione della federazione. Il soggetto rappresentante (la federazione) rappresentava organicamente solo le associazioni, dove i Sinti e Rom avevano un potere decisionale diretto nei consigli direttivi. Ma di fatto veniva vista dall’esterno come una rappresentate indiretta (o impropria) e in alcuni casi diretta dei Rom e dei Sinti. In alcune situazioni ci si è anche proposti come rappresentanza organica.
Le strade oggi possono essere diverse e ognuno deciderà in coscienza, sicuramente rinfacciando all’altro di sbagliare più o meno consapevolmente. Ma rimane il fatto che è stato dato uno scossone alle minoranze sinte e rom. Tutti sono più consapevoli che bisogna partecipare per non lasciare ad altri le decisioni sul proprio futuro. Tutti hanno capito che bisogna crescere nelle persone che ti sono vicine la consapevolezza che ogni Sinto e ogni Rom non deve rimanere succube a ciò che gli accade intorno. Tutti sono consapevoli che impegnandosi in prima persona le cose possono cambiare. di Carlo Berini
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