mercoledì 29 luglio 2009

Rom e Sinti, il racconto sulla nascita delle leggi regionali

«Quando negli anni novanta si aprì la discussione sui campi per Rom fui fortemente impressionato da alcuni paralleli con quanto avevo visto negli anni precedenti seguendo il lavoro di Giorgio Antonucci negli ospedali psichiatrici.
Qui mi trovavo di fronte a persone che insistevano perché venissero approvate leggi regionali che istituzionalizzassero l’esistenza di campi per nomadi, sostenendo che i Rom erano incapaci di vivere tra la gente (tra ‘noi’), che erano nomadi e che promuoverne l’integrazione sarebbe stato un atto di violenza, mentre i Rom stessi dichiaravano di non essere affatto nomadi, di non aver mai vissuto in campi e di non volerne sapere: chiedevano case, lavoro, scuole per i figli.»
Leggendo questo passaggio iniziale di un intervento di Piero Colacicchi, Presidente dell’associazione OsservAzione, mi sono reso conto di come in questi anni il racconto su come nacquero in Italia le leggi regionali a favore delle minoranze sinte e rom sia parziale e in qualche modo appiattito sulla questione “campi nomadi”.
E pur non essendo stato tra i promotori o estensori delle tante vituperate leggi regionali, ma essendone stato testimone, mi sembra giusto gettare uno sguardo a quegli anni per cercare, con tutti i miei limiti, di eliminare le semplificazioni di oggi.
La prima Legge regionale a favore dei Sinti e dei Rom è stata promulgata dalla Regione Veneto nel 1984. E quella legge è il frutto di un dibattito che si è sviluppato molto prima degli Anni Novanta, contrariamente da quanto scritto da Colacicchi che ha vissuto probabilmente la sola esperienza toscana.
Secondo Colacicchi il dibattito si concentrò sulla questione abitativa (campi nomadi si o no?) ma al contrario il dibattito si concentrò su un altro aspetto: i Rom e i Sinti devono essere trattati come qualsiasi altro Cittadino o per loro c’è bisogno di una legislazione speciale?

Questo fu il grande dibattito che negli Anni Ottanta ha portato alla promulgazioni delle Leggi regionali. E in questo dibattito le associazioni pro Rom e Sinti sono intervenute profondamente. In quegl’anni le associazioni erano due: l’Opera Nomadi e l’Associazione Italiana Zingari Oggi (AIZO). Quest’ultima fondata da Carla Osella, transfuga dall’Opera Nomadi di Torino. Un ruolo importante lo ha avuto il Centro Studi Zingari, fondato dall’Opera Nomadi e poi gestito pressoché autonomamente da don Bruno Nicolini e Mirella Karpati. Il Centro pubblicava la rivista Lacio Drom che è stata la “palestra” per molti studiosi, alcuni di questi tutt’ora in attivi.
Anche oggi la questione è molto dibattuta anche se in modo “sotterraneo” e vede diverse posizioni. E’ però da rilevare che su questa questione c’è molta confusione, perché in molti affermano che per i Sinti e Rom non devono essere attuate politiche differenziali e nello stesso tempo chiedono che ai Sinti e Rom sia riconosciuto lo status di minoranze storiche linguistiche, appunto una politica differenziale. Bisogna decidersi: o lo status di minoranze o nessuna differenza dagli altri Cittadini italiani. E proprio su questo equivoco sono nate le sfortunate Leggi regionali.
In quegli anni pochissimi pensavano che un Cittadino italiano, appartenente alle minoranze sinte o rom, potesse godere di tutti i diritti goduti dalla maggioranza dei Cittadini italiani solo grazie alla presenza di norme ad hoc. Come per altro succede per tutti gli altri Cittadini italiani, appartenenti a minoranze. Faccio un esempio banale: un Cittadino italiano, appartenente alla minoranza tedesca, entrando in un qualsiasi ufficio pubblico ha il diritto di essere accolto da una persona che parla il tedesco, la sua lingua madre. E per rendere effettivo questo diritto gli uffici pubblici, dove risiedono Cittadini appartenenti alla minoranza tedesca, hanno l’obbligo legislativo di assumere persone che parlino correttamente la lingua tedesca.
Bisogna anche ricordare che questo dibattito si sviluppa quando in Italia erano presenti quasi esclusivamente Sinti e Rom italiani. E’ vero che fin dalla fine degli Anni Sessanta erano immigrate in Italia famiglie di Rom provenienti dalla Bosnia Erzegovina (Xoraxané) e dalla Serbia (Rudara), ma il loro numero era così irrisorio che di fatto erano quasi invisibili. E’ anche da considerare che la prima legge sull’immigrazione è stata la “Martelli” del 1990.
L’Opera Nomadi, associazione nata negli Anni Sessanta, ha sempre promosso una politica ugualitaria: i Rom e i Sinti sono Cittadini italiani e come tali devono essere tratti, niente di meno e niente di più. L’obiettivo, sempre secondo l’Opera Nomadi, doveva essere quello di far godere ai Sinti e ai Rom gli stessi diritti che godevano tutti gli altri Cittadini italiani. Le leggi dovevano essere applicate in maniera eguale con il fine di eliminare le diseguaglianze. Il termine discriminazioni non veniva mai utilizzato ed è diventato di uso corrente solo negli ultimi anni, dopo la promulgazione della legge “Mancino”.
Sembrerà un paradosso ma l’Opera Nomadi è stata fondata proprio in Trentino Alto Adige, il territorio che in Italia ha dato il maggiore contributo sulla questione del riconoscimento delle minoranze. Un contributo che è diventato modello per tutta l’Europa.
Quindi il dibattito ha visto da una parte le associazioni che non volevano assolutamente delle politiche differenziali per i Sinti e Rom, dall’altro tutta una parte di società civile ma anche di politica (in particolare pezzi rilevanti di quei partiti che oggi possiamo definire di centro e di centro-sinistra) che voleva riconoscere a Sinti e Rom lo status di minoranze o meglio un qualcosa di simile perché ieri come oggi in pochi ritenevano i Sinti e Rom portatori di culture, lingue, valori... da tutelare al pari di altre culture, come ad esempio quella tedesca.
Questi pezzi della società civile e della politica, in quegli anni, si stavano anche interrogando sulle questioni poste da altre minoranze che erano escluse da qualsiasi intervento e coglievano la necessità di una legge nazionale che comprendesse tutte le varie istanze: la Legge 482, promulgata nel dicembre del 1999.
Le Leggi regionali sono state quindi una forma di supplenza ad una legge nazionale ma nello stesso tempo un esperimento che oggi possiamo giudicare fallimentare ma per altre ragioni da quello che pensa attualmente Piero Colacicchi e molti altri.
Se leggiamo il primo articolo di ogni legge, nel frattempo modificate più volte, leggiamo una chiara volontà a riconoscere a Sinti e Rom una specie di tutela. Prendiamo ad esempio la Legge 11/88 del Friuli Venezia Giulia, nel primo articolo leggiamo:
«La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia tutela, nell'ambito del proprio territorio, il patrimonio culturale e l'identità dei Rom, giusta la convenzione delle Nazioni Unite relativa allo stato di apolide (28 settembre 1954) che nel termine comprende e considera anche i Sinti ed ogni altro gruppo zingaro nomade.
Conformemente al dettato costituzionale, alle risoluzioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa e del Parlamento Europeo, la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia salvaguardia, negli ambiti di propria competenza, i valori culturali specifici, l'identità storica ed i processi di cambiamento in atto dei Rom.
A tal fine la Regione assicura ai Rom, nel prendere atto del nomadismo e della stanzialità, la fruizione di tutti i servizi a garantirne l'effettivo esercizio nell'autonomia culturale e socio - economica e ad assicurare la salute ed il benessere personale e sociale, nell'ambito di una più consapevole convivenza.
Le pubbliche amministrazioni, ovvero gli Enti locali singoli od associati, le Province, le Comunità montane, la Comunità collinare e le Associazioni di volontariato cui viene anche demandata l'attuazione degli interventi previsti dalla presente legge, tramite le convenzioni di cui all'articolo 2, devono operare nel pieno rispetto dei caratteri di consapevole diversità dei gruppi Rom e dei rispettivi sottogruppi parentali.»
Penso che tutti possano condividere quanto scritto dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia nel 1988 ma chissà perché oggi tutti sono contro lo Leggi regionali. Ho il dubbio che siano in pochi ad averle realmente lette…
E come tutti possono legge in questo caso si parla sia di nomadismo che di stanzialità. Quindi nessuna volontà a rinchiudere i Sinti e Rom nei cosiddetti “campi nomadi”. Certo la legge del Friuli Venezia Giulia è una delle migliori anche se di fatto mai applicata. Ma se si ha la pazienza di leggersi le diverse leggi si potrà notare la presenza, pressoché uniforme, della volontà di tutelare le culture sinte e rom.
E’ però da rilevare che la differenza evidente nel riconoscere lo status di minoranze è nello strumento legislativo: una legge nazionale è impositiva, la legge regionale no. Di fatti il Friuli non ha fatto praticamente niente per mettere in pratica quanto scritto nel primo articolo di legge, perché in quegli anni le regioni avevano competenze molto limitate.
Il problema si pone quindi diversamente e qui nascono i dolori: come tutelare le minoranze sinte e rom? Naturalmente senza la partecipazione diretta e diffusa degli stessi Sinti e Rom. Ed è questo secondo me il vero peccato originale delle Leggi regionali.
I legislatori non erano però così “cattivi” e in alcune leggi e regolamenti attuativi è presente una partecipazione dei Sinti e dei Rom. Faccio l’esempio della Legge Regionale della Lombardia. Nell’articolo due, punto d, la Legge si pone proprio l’obiettivo della partecipazione: “promuovere la partecipazione delle popolazioni nomadi alla predisposizione degli interventi che li riguardano”. Ma se poi andiamo a leggere come raggiungere questo obbiettivo, troviamo il nulla. Negli incontri del tavolo tecnico regionale, a cui ho partecipato subito dopo la promulgazione della legge, ho posto questo problema. La Giunta regionale ha risposto che ai tavoli potevano sedere un rappresentate delle comunità sinte e un rappresentante delle comunità rom. Ma nulla su come arrivare a questo risultato. Secondo la Regione era compito delle associazioni promuovere la partecipazione. Giusto rilievo ma è pur vero che senza strumenti è difficile costruire la partecipazione. Come si può per altro evidenziare in qualsiasi altro campo, ad esempio la Legge 328/2000 che ad oggi è largamente inapplicata proprio nel suo obiettivo principale: la partecipazione. Alla fine in Lombardia i soldi sono stati divisi su Milano e Mantova per la questione abitativa e si è piano, piano “spenta” la legge nell’indifferenza generale.
Seguendo il percorso temporale delle Leggi si vede che piano, piano tutta la questione si sposta sempre più sulla questione abitativa e tutto il resto diventa molto marginale. Questo perché negli anni i problemi aumentano con la massiccia migrazione dalla Yugoslavia che, a partire dalla fine degli Anni Ottanta, si avviava alla dissoluzione. Forse se nella ex Yugoslavia non fosse scoppiata una guerra civile dalle proporzioni inimmaginabili, la questione si sarebbe dipanata in maniera diversa. Ma con i “forse” e i “se” non si fa la storia anche perché è evidente a tutti che ancora oggi la questione della partecipazione è pressoché ignorata dalle Istituzioni.
Concludendo devo quindi evidenziare che non sono state le leggi regionali a istituire i “campi nomadi”, perché tale soluzione abitativa era già presente in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale. Quello che hanno fatto le leggi, se vogliamo piegarle alla sola questione abitativa, è dare ai Comuni soldi per rendere questi ghetti, già esistenti, un po’ più vivibili.
La domanda che invece mi pongo spesso è la seguente: le leggi regionali possono essere uno strumento a favore dei Sinti e dei Rom? La mia risposta è si. Perché vista l’attuale situazione nazionale si possono costruire, in alcune Regioni, percorsi che portino a modifiche sostanziali alle leggi in vigore. Queste modifiche devono offrire ai Rom e Sinti quei diritti fondamentali che permettano il godimento reale della Cittadinanza, a partire appunto dal diritto a partecipare. di Carlo Berini

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