La promulgazione delle norme sulla sicurezza era abbastanza scontata; un po’ meno la lunga lettera spedita dal Quirinale al governo e ai presidenti delle Camere con una serie di obiezioni di fondo. Le «perplessità e preoccupazioni» espresse da Giorgio Napolitano danno voce alle critiche dell’opposizione, e non solo. Ma il capo dello Stato non vuole bloccare un disegno di legge che prevede anche un indurimento del carcere per i mafiosi; e contrasta le loro infiltrazioni nelle gare d’appalto.
L’obiettivo è piuttosto quello di mediare fra la volontà «ampiamente condivisa» della maggioranza parlamentare; e l’esigenza di impedire distorsioni e pasticci in nome della legge. D’altronde, per settimane si è discusso con asprezza sull’opportunità di definire l’immigrazione clandestina come reato; e sull’istituzione di «ronde» chiamate di fatto ad un compito di supplenza rispetto alle forze dell’ordine: provvedimenti invocati da gran parte dell’opinione pubblica, e voluti fortemente dalla Lega per il loro significato anche simbolico. Ma il modo sbrigativo con il quale sono stati perseguiti ha impedito di valutare fino in fondo gli effetti paradossali che possono avere.
Il risultato sono «norme fra loro eterogenee» e «di dubbia coerenza»: un modo garbato ma netto per far capire che, una volta applicate, potrebbero provocare una gran confusione. L’analisi puntigliosa di Napolitano non riguarda tanto i profili costituzionali, ma gli effetti pratici della legge. Il presidente della Repubblica vede in alcune disposizioni un arretramento nel contrasto all’immigrazione clandestina: contraddizioni che potrebbero peggiorare il problema, invece di risolverlo. Sono indicativi il sollievo ed il rispetto con i quali il governo ha accolto il sì del Quirinale ed accettato i suoi rilievi. Palazzo Chigi fa sapere di essere soddisfatto della promulgazione; e che terrà conto delle «notazioni e dei suggerimenti» del capo dello Stato.
Si indovina la disponibilità a correggere una legge che Napolitano considera difficile anche solo da interpretare. Nelle stesse file del Pdl gli uomini vicini al presidente della Camera, Gianfranco Fini, annunciano di condividere da tempo le obiezioni del Colle. Fra l’altro, su questo continua il braccio di ferro fra alcune istituzioni europee e delle Nazioni unite, ed il governo italiano. E, seppure in modo tormentato, la Chiesa cattolica ha tentato di smarcarsi dalla legislazione sugli immigrati clandestini e le «ronde». La lettera rappresenta un richiamo esplicito e duro a riflettere sui suoi «effetti imprevedibili». Solo Antonio Di Pietro la considera una dimostrazione di «titubanza». Il leader dell’Idv sostiene che Napolitano non avrebbe dovuto firmare la legge, dal momento che la critica: quasi non capisse che i rilievi possono essere radicali proprio perché preceduti da un «sì».
Di Pietro vuole «il tanto peggio tanto meglio», lo bacchetta il Pd per attacchi ritenuti stucchevoli nella loro ripetitività. Si ostina a trasmettere l’immagine di un capo dello Stato subalterno al governo anche quando, come in questo caso, gli rivolge rilievi severi: al punto da far dire a qualcuno del Pdl che ha esagerato. Il ministro della Giustizia, Angelo Alfano, però, non esclude modifiche: benché tutti sappiano che le decisioni della maggioranza dipenderanno soprattutto dalla volontà della Lega. di Massimo Franco
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