Il Senato ha approvato, in via definitiva, il “pacchetto sicurezza” e questo dovrebbe farci sentire più al sicuro visto che nel testo licenziato dal Parlamento abbiamo un po’ di tutto: dall’inasprimento del 41 bis (carcere più duro per i condannati per reati di mafia), al registro per i senza fissa dimora, alle norme sulla clandestinità che diventa reato penale, alle ronde che vigileranno nelle e sulle nostre città.
Confesso che la tentazione sarebbe quella di leggere il tutto con un tono ironico, ma mi rendo conto che tante di queste nuove disposizioni vanno a colpire persone che hanno un volto ed una storia, alle volte anche drammatica e dolorosa. Allora lascio da parte ogni ironia e mi rivolgo principalmente ai credenti, a coloro che si riconoscono discepoli del Signore che ci invita ad “amare i nostri nemici”, a riconoscerlo nei poveri, carcerati, forestieri, Colui che dichiara “beati i miti” e “gli operatori di pace”. Mi vorrei rivolgere soprattutto a voi per soffermarmi e condividere alcuni pensieri.
Sono sempre stato un assertore della certezza della pena, come pure sono sempre stato contrario alle sanatorie per gli immigrati, favorevole a una legge attuabile che regolamenti la presenza degli stranieri in base ad un lavoro regolare e ad un alloggio degno di questo nome; ho sempre affermato, anche nei confronti di amici stranieri, o sinti, o “zingari”, che sono pronto a difendere i loro diritti ma altrettanto pronto a denunciarli se non rispettano le regole della convivenza e tutto questo perché rimango convinto che prima di ogni altra considerazione c’è la giustizia, che Papa Paolo VI definiva “il primo atto di carità”, ma questa non può né tramutarsi in vendetta, né in giustizialismo, o difesa del proprio egoismo.
Ora ritengo che non ci può essere un atteggiamento tra le mura della Chiesa ed uno fuori da queste, come non ci può essere un atteggiamento che vede la “badante” nella mia casa come persona buona ed indispensabile, anche se irregolare, e poi vado a fare le ronde contro gli stranieri. Credo che siamo richiamati a trovare coerenza tra il nostro agire nel privato e quello nel pubblico, tra la fede che dichiariamo di professare e le scelte che da questa, coerentemente ne derivano.
Non basta sorridere di fronte alle battute di questo o quell’uomo politico nei confronti del Papa, ma poi ricorrere, estrapolando qua e là, alle affermazioni del Santo Padre per ribadire una propria posizione. Credo che sia tempo che ritroviamo il senso della coerenza, quella vera, che non segue né mode, né maggioranze, ma è frutto della fedeltà, fino al dono di sé, se occorre, fino a dare la vita per l’altro.
Nella logica della coerenza anche i cattolici impegnati nella politica non si preoccuperanno degli ordini di “scuderia” ma sapranno richiamarsi alla Dottrina Sociale della Chiesa, alla Parola di Dio, alla propria coscienza e al primato della persona sempre, dal suo concepimento al suo morire, dal suo essere di un colore o di una cultura diversa dalla propria, ma che ha le nostre stesse prerogative di dignità, di rispetto, di vita, proprio perché la fede ce la fa riconoscere come fratello e sorella, sempre e comunque “immagine di Dio”.
Resto ogni volta colpito quando, celebrando l’eucaristia, mi trovo di fronte al “tutti”: “prendete e mangiatene e bevete tutti”. E il canone secondo sulla riconciliazione afferma: “Tu che ci hai convocati intorno alla tua mensa, raccogli in unità perfetta gli uomini di ogni stirpe e di ogni lingua”... è a questo che dobbiamo richiamarci e su queste linee possiamo dare coerenza alla nostra fede, rendendola visibile, libera, estranea ad ogni schema ideologico.
Uno Stato deve fare delle buone leggi per tutti, un credente deve essere testimone dell’amore di Dio e questo va ben oltre le stesse leggi umane. di mons. Dino Pistolato, Direttore Caritas veneziana
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