L’ASGI esprime il proprio sconcerto per le posizioni assunte dal Governo italiano, a seguito della tragedia che ha visto la morte di circa 80 persone nel canale di Sicilia. Invece di esprimere cordoglio per le vittime e sollecitare una inchiesta, anche in sede UE, sull’efficienza e la tempestività dei soccorsi, esso ha manifestato insofferenza e fastidio, accusando altresì esplicitamente i sopravvissuti di mentire, non si comprende per quali ragioni. Alcuni esponenti del governo si sono spinti ad affermare che i richiedenti asilo mentirebbero per ottenere il riconoscimento di un permesso di soggiorno. Altri ancora hanno insinuato il dubbio che tra i superstiti ci fossero degli scafisti. Adesso, i cadaveri che affiorano dalle acque del Canale di Sicilia stanno confermando la versione dei fatti fornita dagli eritrei evidenziando anche l’imbarazzo di quelle autorità che dopo i primi avvistamenti non hanno voluto neppure recuperare i corpi.
L’ASGI chiede che sia aperta un’inchiesta finalizzata all’accertamento dei fatti relativi al funzionamento e alla tempestività dei soccorsi. Nel ricordare che il salvataggio delle vita in mare costituisce un principio cardine del diritto internazionale e che tale principio sovrasta e precede ogni altra pur legittima finalità di controllo e contrasto dell’immigrazione irregolare, l’ASGI sottolinea che le intese, i protocolli operativi tra Italia e Malta e tra detti Stati e il sistema europeo Frontex debbono essere finalizzati in primis ad organizzare un efficiente sistema di monitoraggio e soccorso. Molti e assai rilevanti sono i dubbi e gli interrogativi, che la tragedia mette in luce, e che debbono trovare adeguata risposta anche in sede giudiziaria, in relazione all’efficacia dell’attuale sistema di ripartizione di competenze tra Italia e Malta relativamente al pattugliamento e al controllo delle zone marittime di competenza e all’organizzazione dei soccorsi, e sulla conformità al diritto comunitario delle modalità di azione del pattugliamento congiunto Frontex.
L’ASGI esprime inoltre la propria profonda preoccupazione per ulteriori aspetti paradossali di questa vicenda: ai superstiti, tra cui due minori, proveniente dall’Eritrea, quindi evidentemente in fuga da una situazione di violenza generalizzata e bisognosi di protezione internazionale, potrebbe essere consegnato un provvedimento di respingimento alla frontiera prima di avere accesso alla procedura di asilo. Si tratta di una prassi diffusa ad Agrigento, già più volte segnalata alle autorità, inutilmente, e di cui si sottolinea l’illegittimità; la norma vigente in materia di respingimento (art. 10 TU immigrazione), già estremamente restrittiva, precisa infatti in modo tassativo che le disposizioni di cui allo stesso art. 10 del TU n.286/98, relative al respingimento non si applicano a quanti facciano domanda di asilo. Ad eccezione dei casi in cui lo straniero non abbia presentato istanza di asilo o la abbia fatto solo in una circostanza di tempo e luogo del tutto distinta e successiva all’emanazione del provvedimento di respingimento, non appare quindi possibile adottare da parte del Questore un provvedimento di respingimento differito, ai sensi dell’art. 10 comma secondo, e nella stessa circostanza ammettere alla procedura di asilo la medesima persona, per l’evidente violazione del principio di non refoulement sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.
Ci si chiede allora perché queste procedure vengano attuate, così come ci si chiede se non sia paradossale che dei naufraghi, in cerca di protezione internazionale, vengano accusati del reato di ingresso irregolare introdotto dalla L. 94/2009 (pacchetto sicurezza). Dubbia appare infatti la conformità di detta norma con l’art. 31 della citata Convenzione di Ginevra del 1951. Occorrerebbe verificare, nella fase di prima attuazione del reato di clandestinità, la sua compatibilità con i principi costituzionali, a partire dall’art. 10 della Costituzione che sancisce il diritto di asilo.
L’esito complessivo di norme inique e farraginose appare con tutta evidenza quello di mantenere condizioni operative che nel tempo potranno produrre ancora tragedie come quella degli eritrei e fornire un’immagine pubblica dei naufraghi non già come vittime di una tragedia, ma come criminali.
Le vittime del naufragio, per la drammaticità del viaggi subiti, sono senza dubbio persone che sono state esposte ad un trauma estremo. Dopo lo sbarco a Lampedusa si è appreso che sono state sottoposte a giorni di interrogatorio, prima da parte della Guardia di Finanza, poi da parte della Polizia. L’ASGI chiede che dopo il loro trasferimento a Porto Empedocle ( una donna e due minori) ed a Palermo ( due adulti) siano garantite una tempestiva presa in carico sotto il profilo medico psicologico e psicoterapeutico, anche attraverso un’idonea collocazione abitativa, come chiaramente richiesto dalle direttive europee in materia.
Quanto avvenuto in questi ultimi giorni a sud di Lampedusa si inquadra nella pratica dei “respingimenti” collettivi ed informali verso la Libia che il governo italiano ha ordinato alle unità militari, in particolare ai mezzi della Guardia di Finanza, a partire dal 15 maggio scorso. Più di 1200 migranti sono stati respinti negli ultimi mesi verso i porti libici o riconsegnati dalle nostre motovedette alle imbarcazioni militari libiche, alcune delle quali fornite dall’Italia. Non sappiamo quale sia stato il costo umano di queste pratiche di riammissione di migranti che – come dimostrano le statistiche relative agli ultimi anni- avevano titolo ad accedere nel territorio italiano per ottenere il riconoscimento di uno status di protezione internazionale. Quello che è certo è che l’Italia ha violato e continua a violare l’art. 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, e che questa violazione può integrare, in virtù del richiamo agli articoli 10 ed 11 della Costituzione, un grave comportamento di abuso di ufficio, oltre che un illecito sanzionabile da parte della Commissione Europea e dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Il coinvolgimento di unità militari italiane nelle operazioni FRONTEX, basate a Malta e la circostanza che il primo “avvistamento” del gommone con gli eritrei superstiti fosse avvenuto martedì 18 agosto, ben due giorni prima dell’avviso lanciato da Malta solo quando il gommone stava entrando nelle acque territoriali italiane, da parte di un mezzo aereo che partecipava all’operazione, senza che poi fossero avviate immediate attività di ricerca e salvataggio, impone alla magistratura italiana, competente in quanto sono coinvolti mezzi militari battenti bandiera italiana, di indagare sulle modalità operative dell’ultima missione FRONTEX in corso nelle acque del Canale di Sicilia negli stessi giorni nei quali gli eritrei andavano alla deriva nell’indifferenza generale.
Dopo il ritrovamento di un cadavere di un migrante, nella giornata di sabato 22 agosto, vicino all’isola di Linosa, poco ad est di Lampedusa, ritrovamento avvenuto da parte di un diportista, e non da mezzi impegnati nelle ricerche ufficiali, e dopo che sono stati abbandonati in mare sette cadaveri rinvenuti durante una ricognizione aerea in acque libiche, mentre quattro cadaveri sarebbero stati recuperati dalle autorità maltesi, l’ASGI chiede alla magistratura di volere ordinare la prosecuzione delle ricerche di altri cadaveri e di volere disporre con la maggiore tempestività quei rilievi autoptici, anche sui corpi recuperati a Malta, che consentano almeno l’accertamento delle responsabilità e la restituzione alle famiglie delle spoglie dei loro congiunti. da ASGI
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