In un’intervista rilasciata il 9 agosto a La Stampa, e ripresa dal Portale dell'ebraismo italiano moked.it, Rav Riccardo Di Segni ha giustamente sottolineato che, per quanto Benedetto XVI torni a parlare della Shoah, e a condannare il nazismo, lo fa tenendo separata la responsabilità dei tedeschi da quel che è accaduto. Come se dunque “una banda di delinquenti” – così Di Segni – avesse tenuto in pugno tutta la nazione. Questa tesi, più o meno implicitamente sostenuta dal Papa, è più diffusa di quanto non si ammetta. E affiora ogni volta che si parla, a esempio, di “follia” del nazismo. Ricondurre il nazismo alla follia di uno, o al crimine di pochi, vuol dire evidentemente ridurne la portata.
È questo d’altronde l’obiettivo perseguito dallo storico tedesco Ernst Nolte, il maggiore rappresentante del “revisionismo”. In un articolo intitolato Il passato che non vuole passare, pubblicato nel 1986, Nolte ha presentato i crimini nazisti come una reazione a quella che ha chiamato la “barbarie asiatica” del bolscevismo; minacciata di annientamento, la Germania avrebbe reagito decidendo di “eliminare” gli ebrei ritenuti colpevoli del comunismo e comunque “elemento destabilizzatore” dell’Europa. L’interpretazione di Nolte è stata attaccata a chiare lettere dal filosofo Jürgen Habermas in un articolo pubblicato l’11 luglio del 1986 nel settimanale Die Zeit. Ne è nato un grande, talvolta feroce, dibattito – chiamato Historikerstreit – che lascia aperti i baratri che dividono i tedeschi. La riunificazione non ha voltato pagina e lo scontro sulla Shoah resta in Germania un elemento di ridefinizione dell’identità tedesca.
Le polemiche suscitate dal libro di Daniel J. Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler del 1996, l’impatto della mostra organizzata dall’Istituto di scienze sociali di Amburgo dedicata ai crimini commessi dalla Wehrmacht, l’acceso confronto avvenuto nel 1998 tra Ignaz Bubis, allora Presidente dello Jüdischer Zentralrat (l’Unione delle comunità ebraiche tedesche) e lo scrittore Martin Walser a proposito dell’utilità di ricordare Auschwitz, indicano con chiarezza che in Germania il nazismo è un passato che non passa. Almeno finché non ci si interrogherà davvero sulle effettive responsabilità del popolo tedesco.
Come molte indagini hanno messo in luce, in Germania l’opinione pubblica era al corrente di quanto stava accadendo. I convogli dei deportati attraversavano le città tedesche. La popolazione non conosceva e forse neppure condivideva il progetto nazista di sterminare gli ebrei d’Europa; ma certo era al corrente dei massacri e accettava – anche sommessamente – l’esclusione degli ebrei e la loro progressiva, definitiva scomparsa.
Nel 1946 il filosofo Karl Jaspers, rimasto per anni a Heidelberg sotto sorveglianza della Gestapo perché aveva sposato un’ebrea, pubblicò il libro La colpa della Germania. Tra le rovine della guerra auspicava un “atto di contrizione” dei tedeschi, che avrebbero dovuto assumere anche “le colpe dei padri”, si augurava che proprio la “colpa” sarebbe stata il fondamento della nuova identità tedesca. Ma si sbagliava. Perché nel dopoguerra i tedeschi presero piuttosto a considerarsi vittime. Lo dimostra la storia della cosiddetta “denazificazione”, voluta dagli alleati e subita dai tedeschi. Certo le cose sono cambiate in seguito. E le nuove generazioni, a partire dal 1968, hanno voluto capire, interrogare e interrogarsi.
Ma si intuisce facilmente perché le affermazioni di Benedetto XVI sul nazismo mettono in grande imbarazzo proprio i tedeschi (basterà ricordare le decise prese di posizioni di Angela Merkel e le critiche veementi, ma anche ben articolate e motivate, che riempiono la stampa tedesca). Com’è possibile parlare della Shoah ancora in questi termini? Com’è possibile pensare che si sia solo trattato di una “negazione di Dio”, di una ideologia anticristiana? Come se tutto si risolvesse nel condannare il “nichilismo” o il “relativismo”, termini ambigui per indicare la pattumiera in cui versare sbrigativamente i peccati di ieri e quelli di oggi. E i peccati dei cristiani? E le responsabilità della Chiesa? Donatella Di Cesare (filosofa), l'Unione informa 17 agosto 2009 - 27 Av 5769
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