Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Puglia: cambia la latitudine ma non la presenza di un alto grado di razzismo tra i giovani. L'allarme arriva dalla ricerca promossa dalla Fondazione Intercultura con ricercatori universitari di tutta Italia, entrati nelle scuole di 8 capoluoghi di provincia delle regioni citate per parlare con 1.432 studenti delle classi quarte.
«I ragazzi hanno una valanga di pregiudizi verso chi non è nato in questo paese - dice senza mezzi termini Roberto Ruffino, segretario generale di Intercultura - il dato preoccupante è che nemmeno la vicinanza con lo straniero cambia l'idea di fondo. Se si fa notare loro che l'amico e vicino di banco è senegalese, rispondono «cosa c'entra, lui è diverso dagli altri».
Dai dati emerge che anche portatori di handicap e omosessuali sono oggetto di scherno: i giovani non sanno relazionarsi con le diversità, soprattutto al nord e nelle scuole dove la tradizione è più forte, come nei licei classici».
«La strada dell'integrazione è ancora lunga - sottolinea Anna Paini, coordinatrice della ricerca - dando ai ragazzi la possibilità di esprimersi emerge un sommerso che si preferirebbe non esistesse ma che deve essere affrontato ad occhi ben aperti, fatto di pregiudizi, sovraestimazione della presenza degli stranieri e non compresione delle diversità. A Reggio ci siamo concentrati sul liceo Moro e sul Don Zeffirino Iodi, trovando la massima disponibilità da parte degli studenti che hanno fatto emergere un dato importante: da parte degli Enti locali c'è un difetto di comunicazione, molte iniziative rivolte agli stranieri non sono spiegate anche agli autoctoni che, nel caso dei più giovani, finiscono per pensare «ecco, tutte le agevolazioni a loro e a noi niente». Ci vuole più informazione, serve un migliore accompagnamento dei progetti per combattere gli errori nati dall'ignoranza».
«Loro hanno il velo o il burka, noi no». «Arriva un musulmano e deve togliere il crocifisso?». Dall'indagine, tramite questionati, temi e dibattiti di gruppo, emerge una forte tendenza a inserire le culture entro schemi precisi, a etichettarle con marcatori simbolici. «Questo è quanto di meno antropologico possa esistere - spiega la Paini - ogni individuo presenta molteplici aspetti che non possono essere ingabbiati, la facilità di generalizzazione è preoccupante, i giovani finiscono per fare di una pratica, solitamente la più estrema, la norma».
«Sono tanti, un numero esagerato, troppi». Altro campanello d'allarme è la sovraestimazione della presenza degli immigrati, da alcuni indicati persino come il 60% della popolazione italiana. «Abbiamo chiesto agli studenti di dare una percentuale alla presenza di stranieri in Italia - prosegue la Paini - allo Jodi la media delle risposte si è aggirata intorno al 40%, specchio dell'elevato numero di immigrati ivi presenti, ma anche al Moro la risposta non è stata molto diversa. Queste percezioni sono molto distanti dalla realtà, i giovani non hanno una visione lucida del contesto in cui sono inseriti».
«Do più valore agli animali che a loro, potrebbero trovarsi un lavoro e pagarsi la casa come tutti»: durissime le frasi rivolte ai generici «zingari», senza distinzione tra Sinti e Rom. «Sono posizioni radicali e disumanizzanti - illustra la coordinatrice - queste comunità vengono assimilate a tutti i musulmani per poi schierarsi a favore della religione cattolica, a loro avviso più libera, aperta e democratica. La tendenza a banalizzare è davvero grande, unita alla disinformazione».
A omosessuali e portatori di handicap in molti casi non è certo riservato un trattamento migliore. «I ragazzi discutono di queste diversità assumendo un atteggiamento di distacco - conclude la ricercatrice - le percepiscono come situazioni di svantaggio, lontane dal proprio vissuto e dal proprio modo di essere. A questo si lega l'importanza data al look, la tendenza a uniformarsi: l'82,90% degli studenti ritiene che l'apparenza sia fondamentale per farsi accettare dagli altri e per crearsi un'idea su di loro». di Francesca Manini
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