Il furto della scritta Arbeit macht frei da Auschwitz (mascalzoni e speculatori a parte: la loro esistenza è sempre possibile) ci invia un segnale preciso. Quel luogo di dolore sta diventando il ricettacolo della falsa coscienza, il posto dove ricostruire delle identità presentabili, dove ricevere certificati di buona condotta che poi consentano di penalizzare i “diversi” di oggi, gli ebrei di oggi, cioè i rom, i clandestini, gli extracomunitari, i lavoratori-schiavi.
Di Auschwitz si fa ormai un uso strumentale. Anche da parte di certi politici israeliani, che insistono sulla necessità di non mutare i termini del discorso e mantengono “in vita” troppe divisioni, troppo odio. Vorrei ricordare che Primo Levi ha scritto Se questo è un uomo, non Se questo è un ebreo. L’ebreo rappresenta la minoranza e l’alterità. Il suo capolavoro è la distruzione degli idoli e dell’idolatria. Il suo messaggio è la volontà di onorare la persona e darle una centralità costante e assoluta.
Solo richiamando questa realtà, facendone partecipi i “diversi” di oggi, che fanno paura come gli ebrei di allora, daremo finalmente ad Auschwitz il valore maieutico che ha. di Moni Ovadia
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