giovedì 18 febbraio 2010

Razzismo, il 45% dei giovani chiuso o xenofobo

Dai ragazzi inclusivi a quelli improntati al razzismo: il 40% dei giovani italiani si ritrova su posizioni più aperte, mentre il 45% sposa atteggiamenti di chiusura.
Questa la fotografia scattata da ''Io e gli altri. I giovani italiani nel vortice dei cambiamenti'', l'inchiesta realizzata dall'istituto Swg di Trieste e promossa dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, che ha analizzato gli atteggiamenti e le pulsioni che caratterizzano i ragazzi italiani tra i 18 e i 29 anni.
In base allo studio, l'universo giovanile italiano si spacca nettamente in due aree: da un lato il fronte 'aperturista', che include quasi il 40% degli intervistati, in cui troviamo almeno tre agglomerati: gli ''inclusivi'' (che sono il 19,4% dei giovani), i ''tolleranti'' (che sono il 14,7% dei ragazzi e delle ragazze) e gli ''aperturisti tiepidi'' (che sono il 5,5%). Sul versante opposto c'è l'area di quelli più chiusi. Qui si colloca il 45% dei giovani italiani, suddivisi in tre gruppi: i romeno-rom-albanese fobici (che sono il 15,3% dei giovani), gli xenofobi per elezione (che sono il 19,8% dei giovani) e gli improntati al razzismo (che sono il 10,7%). In mezzo alle due aree si colloca un ulteriore gruppo, con il 14,5% dei giovani. Gli inclusivi sono il clan pienamente aperto verso gli immigrati, sono disponibili verso le posizioni altrui e riescono ad accettare serenamente le idee divergenti. Sono soprattutto ragazze (55,3%), persone tra i 22 e i 25 anni e residenti nelle Isole, al Sud e al Centro.
Ad un gradino di capacità di apertura leggermente inferiore ci sono i ''tolleranti'' (14,7%), sono un po' più freddi e calmierati rispetto agli inclusivi. La loro apertura verso il prossimo appare dettata da una presa di posizione razionale che nega gli atteggiamenti razzisti, piuttosto che da una effettiva capacità di riconoscersi nell'altro. Così i giudizi sulle altre etnie, pur essendo nel complesso positivi, si caratterizzano per una maggior morigeratezza.

In base allo studio, l'ultima fetta dei più aperti, i 'tiepidi', è composta da giovani decisamente antirazzisti (il 71% ritiene assolutamente inaccettabile qualunque atteggiamento discriminatorio), ma con forme più caute, più trattenute. Così, chi appartiene a questo clan crede nel rispetto di tutte le religioni, ma in modo un po' meno marcato; riconosce l'omossessualità come una forma d'amore al pari di quella eterossuale, ma in forma più ridotta rispetto agli altri due gruppi. Minori anche le forme di interazione con le altre etnie.
Come avviene per tutti gli agglomerati aperturisti, si tratta di un gruppo composto soprattutto da ragazze e da 22-25 enni, anche se, in questo caso specifico c'è anche una buona quota di under21. A metà dell'asse immaginaria che va dalla massima inclusione alle forme più marcate di esclusione, troviamo i ''mixofobici''. Si tratta del gruppo mediano in cui convergono i giovani che non sono del tutto proiettati verso la chiusura, ma che non denotano nemmeno evidenti segnali di apertura. Questi ragazzi si trovano a vivere in una sorta di limbo contraddistinto da un sentimento di fastidio di sottofondo, di sofferenza verso ciò che si allontana dalla loro identità.
Sono, tuttavia, persone che non hanno ancora deciso fino in fondo ''da che parte stare'': non ripudiano la contaminazione, non la contrastano apertamente, ma neanche la ricercano. In questo caso si tratta soprattutto di maschi (55,4%), persone tra i 26 e i 29 anni e vivono principalmente al Sud e nelle Isole. Si tratta di ragazzi che vivono soprattutto nei piccoli centri, tra i lavoratori precari, ma anche tra le famiglie agiate, tra i cattolici praticanti, ma anche tra quelli più saltuari e scostanti. L'area escludente, come quella 'aperturista', ha una propria gradazione interna, una scala di avversione che scorre fino a posizioni di chiara marcatura razzista. In questa area, che raccoglie il 45,8% dei giovani, ritroviamo tre clan e quello minoritario e' certamente quello più razzista.
Il primo clan è costituito dai ''rumeno-rom-albanese fobici'' che, come indica chiaramente il nome, si scagliano contro un target ben preciso. Pur non provando particolare simpatia per diverse etnie, la loro intolleranza prende di mira più direttamente rumeni, rom e albanesi. Verso questi popoli hanno una vera e propria ossessione, ma riescono a convivere con altre appartenenze o, quantomeno, a dimostrare una certa indifferenza. Questo è l'unico clan, fra quelli dell'asse dell'esclusione, in cui la maggioranza è costituita da ragazze (56%). Per lo più i rumeno-rom-albanese fobici sono giovani ''maturi'', tra i 26 e i 29 anni, residenti a Nordovest e al Centro Italia, sono diplomati e vivono in famiglie benestanti.
Seguono gli ''xenofobi per elezione''. Si tratta del clan giovanile più grande, che comprende quasi il 20% degli intervistati. L'atteggiamento predominante è quello di negazione netta di tutti gli immigrati, senza distinzioni particolari. Si sentono fortemente italiani. Sono il clan che marca di più questo universo identitario. Non esprimono forme di odio violente. La cosa che più conta è che le altre etnie se ne stiano lontane, possibilmente fuori dai confini nazionali. Gli adepti di questo clan sono perlopiù maschi sotto i 21 anni. Proseguendo l'analisi della mappa delle forme di inclusione ed esclusione, c'è l'ultimo clan, quello degli ''improntati al razzismo''.
E' il più piccolo dell'area escludente (10,7%), ma il più estremo. Per i componenti di questo gruppo, infatti, non esistono razze etnie accettabili. Tutti, tranne europei ed italiani, sono da considerarsi antipatici. Tra gli improntati al razzismo la ricerca evidenzia forme di ostentazione di superiorità, un persistente bisogno di potenza, atteggiamenti apertamente omofobici, spinte antisemitiche, convinzione dell'inferiorità delle donne. In sostanza, rifiuto e fastidio per tutto ciò che è diverso. Il clan degli improntati al razzismo, rispetto a quello degli xenofobi per elezione, si distingue non solo per l'intensità estremizzata delle proprie posizioni, ma anche per la sua capacità di produrre un vero e proprio modo di essere nella società, per la sua tendenza a essere una comunità, per quanto chiusa e ristretta. da StranieriInItalia

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