Ieri davanti alla Sindone, in Duomo, sono sfilati un centinaio di cittadini rom e sinti. Accompagnati dalla presidente Carla Osella dell’AIZO, sono arrivati, sotto un violento scroscio di pioggia, nel primo pomeriggio, ragazzi, famiglie, un folto gruppo di sinti piemontesi da Cuneo e giostrai di Torino. «A chiederci di organizzare questo pellegrinaggio - ha spiegato Carla Osella - sono state le donne musulmane. Con noi oggi ci sono anche persone che vivono in campi abusivi come lungo Stura Lazio».
Durante il percorso di avvicinamento al Duomo alcuni partecipanti alla visita hanno parlato del loro desiderio di essere considerati - com’è avvenuto ieri - cittadini come tutti gli altri. Valentino, 22 anni, ortodosso, abitante di strada dell’Aeroporto, aveva già visto la Sindone nel 2000: «Ero venuto qui con la scuola. Ho la terza media e so fare tante cose: riesco a lavorare un po’ in nero come muratore, giardiniere, elettricista. In nero perché non ho i documenti. Sono nato a Torino, mio padre era già nato a Torino, e mio figlio tra poco deve nascere in questa città. Ma nessuno ha documenti italiani. Ho solo la tessera dell’Aizo. Quando ho compiuto 18 anni ho fatto domanda di cittadinanza ma non ho ricevuto risposta». Ancora: «Oggi che siamo qui per l’uomo della Sindone, che ha tanto sofferto, mi chiedo perché siamo costretti a una vita di degrado, isolati in un campo, guardati male da tutti».
Anche Lorenzo, figlio del celebre partigiano sinto Amilcare «Taro» De Bar, residente di Cuneo, ha parlato delle sofferenze che la discriminazione spesso provoca. Fedora, sua sorella, impiegata come altre donne sinte cuneesi in una impresa di pulizie, ha raccontato con orgoglio della figlia che farà la maturità quest’anno e vuole iscriversi ad Economia. di Maria Teresa Martinengo
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