
Durante il percorso di avvicinamento al Duomo alcuni partecipanti alla visita hanno parlato del loro desiderio di essere considerati - com’è avvenuto ieri - cittadini come tutti gli altri. Valentino, 22 anni, ortodosso, abitante di strada dell’Aeroporto, aveva già visto la Sindone nel 2000: «Ero venuto qui con la scuola. Ho la terza media e so fare tante cose: riesco a lavorare un po’ in nero come muratore, giardiniere, elettricista. In nero perché non ho i documenti. Sono nato a Torino, mio padre era già nato a Torino, e mio figlio tra poco deve nascere in questa città. Ma nessuno ha documenti italiani. Ho solo la tessera dell’Aizo. Quando ho compiuto 18 anni ho fatto domanda di cittadinanza ma non ho ricevuto risposta». Ancora: «Oggi che siamo qui per l’uomo della Sindone, che ha tanto sofferto, mi chiedo perché siamo costretti a una vita di degrado, isolati in un campo, guardati male da tutti».
Anche Lorenzo, figlio del celebre partigiano sinto Amilcare «Taro» De Bar, residente di Cuneo, ha parlato delle sofferenze che la discriminazione spesso provoca. Fedora, sua sorella, impiegata come altre donne sinte cuneesi in una impresa di pulizie, ha raccontato con orgoglio della figlia che farà la maturità quest’anno e vuole iscriversi ad Economia. di Maria Teresa Martinengo
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