Una piazza della capitale francese da pochi giorni porta il suo nome, accanto al mercato delle pulci. D’altra parte non poteva essere altrimenti dato che, grazie a lui e alla sua chitarra, la Francia e Parigi sono state il punto di riferimento del jazz europeo tra le due guerre mondiali. Eppure di nascita era belga e, soprattutto, gitano.
Django Reihnardt, infatti, era venuto alla luce in una roulotte il 23 gennaio di cento anni fa, a Liberchies, piccolo borgo della Vallonia a pochi chilometri da Charleroi. In quella località, pochi giorni prima, un gruppo di sinti (in francese, manouche) aveva fermato la sua carovana. Diciotto anni dopo, sempre in una roulotte, la svolta della sua vita. Un incendio distrusse la struttura e Django riportò ustioni gravissime alla mano sinistra tanto che secondo i medici non avrebbe mai ripreso l’uso delle dita. Invece durante la convalescenza, grazie a questa menomazione, sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria e del tutto particolare che ancora oggi viene ammirata per virtuosismo, vitalità e originalità espressiva.
Da questo dramma iniziò la leggenda. La carriera di Django fu da allora folgorante. Nel 1931, a Tolone, mentre si trovava a casa del pittore Emile Savitry, scoprì un genere allora quasi sconosciuto in Francia: il jazz. Il passo definito verso la gloria arrivò con l’Hot Club de France, creato da Charles Delaunay e Hugues Panassie, alla fine del 1933. Il quintetto, accanto al violinista e complice Stephane Grappelli, rivoluzionò gli standard dei gruppi degli anni trenta, imponendo gli strumenti a corde – violino, tre chitarre e contrabbasso – senza batteria. In pratica erano i due solisti, Django e Grappelli, con gli altri componenti a sostenere la funzione ritmica.
Django fu il primo ad avere l’idea di accostare gli accordi del jazz ai ritmi della tradizione gitana. Il solo europeo che seppe affermarsi tra tanti americani, da Duke Ellington (che lo volle alla Carnegie Hall di New York) a Louis Armstrong. Il suo “french jazz” o “jazz manouche” ha prodotto brani classici come Nuages, Manoir de mes reves, Nuits de Saint-Germain-des-Pres. E soprattutto Minor Swing, che è stata inclusa nel film Chocolat di Lasse Hallsrtrom con Juliette Binoche e Johnny Depp. Proprio a quest’ultimo, nel ruolo di un gitano, è affidata l’intrepretazione del pezzo. Ma anche Woody Allen, nel suo film Accordi e disaccordi, fece volutamente un ritratto del protagonista in perfetto accordo con la biografia di Reinhardt, inventandone la vita e dicendo che era secondo solo a Django.
Quando morì nel 1953 Jean Cocteau disse di lui: «Django morto è come una di quelle fiere che muoiono in gabbia. Visse come sogniamo tutti di vivere: in una roulotte». Infatti, anche quando divenne una star del jazz, all’apice della sua gloria, Django continuò a snobbare i comfort e a rientrare tutte le sere nella sua casa mobile. La Francia lo ha ricordato all'inizio del 2010 con tante iniziative anche grazie a una vera e propria scuola di giovani chitarristi manouche di cui fanno parte il nipote David Reinhardt e il pronipote Levis Adel-Reinghardt. In Italia è invece arrivata la traduzione della biografia su Django Il gigante del jazz tzigano di Alain Antonietto e François Billard, pubblicata dalle edizioni Arcana. Mentre per quanto riguarda i cd, segnaliamo l'omaggio della Dreyfus Jazz Generation Django (distribuito da Egea) dove sono racchiuse tutte le passioni e le varianti che questo genere ha suscitato nelle generazioni successive oltre alla ristampa (Essential Jazz, sempre distribuita da Egea) delle interpretazioni di brani di Cole Porter, Jerom Kern e Irving Berlin da parte dello stesso Reinhardt. di Michele Manzotti
Nessun commento:
Posta un commento