Ora riposa nella cappella di famiglia al cimitero di Rivalta, Luciano Truzzi, da tutti conosciuto come «il Charly». Riposa e veglia sulla sua comunità sinti del campo di Roncina dopo l'intensa giornata di lacrime, abbracci e applausi che ieri lo ha accompagnato per l'ultimo saluto, amara conseguenza dell'infarto che nelle notte tra sabato e domenica ha stroncato i suoi 59 anni di vita nel sonno.
Sono stati centinaia tra uomini, donne e bambini di ogni età, i Sinti accorsi da tutta Italia per stringersi intorno alla moglie Anna e ai sei figli in una toccante cerimonia iniziata proprio a pochi passi da casa di Charly, nella camera ardente allestita sotto a un bianco tendone al campo di Roncina e visitata da innumerevoli amici e parenti, dove poco prima che l'orologio battesse i due colpi pomeridiani, una Bmw grigio metallizzata ha diffuso le note di alcune canzoni a lui care come «Io vagabondo» dei Nomadi e «Tutto il resto è noia» di Califano.
Da lì il corteo si è spostato alla chiesa di Rivalta dove ad attendere Charly c'era un anfiteatro di corone fiorite, circa una cinquantina, le stesse che poi lo hanno preceduto lungo il viale del cimitero secondo l'usanza sinti che prevede che i fiori delle corone vengano sparsi a terra andando a creare un nobile tappeto di colori, giallo, rosso, arancione, verde e rosa, per il passaggio del defunto.
E' stata la banda di Noceto ad accogliere la bara innalzata al cielo dagli uomini della famiglia Truzzi sulle note dell'«Ave Maria» di Schubert, la stessa banda che all'ingresso del cimitero ha suonato l'«Inno di Italia», quell'Italia a cui Charly si sentiva così legato.
«Proprio ieri sera al campo abbiamo ricordato come Charly fosse una persona aperta verso tutti, capace di passare sopra a tante cose - ha detto don Daniele Simonazzi durante l'omelia, affiancato dal parroco don Luigi Giansoldati - queste sono solo alcune cose che lo accomunano al quel Cristo capace di passare sopra a molte cose perdonando i nostri peccati. Il Vangelo di Giovanni ci racconta di come Gesù prima di morire fosse preoccupato del destino dei suoi, proprio come succede a tutti quelli che sanno volere bene, soprattutto i papà e le mamme: così Charly mi confidava spesso di essere in pena per il destino dei suoi figli. Quello che possiamo fare noi ora è ricordarci del bene che ci ha voluto e portarlo agli altri, continuando la sua opera senza paura, stringerci intorno alla sua famiglia e ringranziandola per tutto quello che ha fatto per la comunità sinti in questi anni, a partire dalla moglie, perchè se il Charly era il Charly è perchè l'Anna era l'Anna, sempre al suo fianco».
Tra i tanti occhi lucidi immersi nei ricordi di vita legati a Charly, c'erano anche quelli di Giuliano Rovacchi, della segreteria di Rifondazione Comunista. «Ricordo che proprio nel settembre scorso ci ha invitato nella sua casa con la scusa di un piatto di spaghetti trasformato in un vero banchetto di nozze _ ha raccontato Rovacchi _ non era semplicemente un nomade o uno zingaro, come troppo spesso vengono qualificati spregevolmente i Sinti o i Rom, era un cittadino reggiano, un uomo che con fierezza e dignità difendeva l'appartenenza al popolo degli uomini liberi. Pensava che la sua vita appartenesse alla comunità e finchè fosse vissuto riteneva un privilegio fare per essa tutto ciò che poteva, come un granitico monumento di orgoglio e di amore. Ora che ha lasciato la vita terrena per lui non ci sarà più lotta per la sopravvivenza nei campi o meglio ghetti costruiti dai “gagi” dove dimorava con il popolo dei Sinti reggiani, ma lo ricorderemo sempre con riverente rispetto e infinita gratitudine». di Francesca Manini
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