Ci sono delle buone ragioni, a parere degli scriventi, per concludere un’esperienza nata inizialmente dall’esigenza di trovare uno spazio di confronto tra le associazioni e gli enti che si occupano a Milano della cosiddetta “Questione Rom”.
In breve, se il pluralismo può essere sinonimo di ricchezza d’idee, è pur necessario che il piano d’intesa tra chi unisce le proprie forze in un percorso comune si fondi su principi e metodi non solo condivisi, ma anche condivisibili dai più e, innanzitutto, dai destinatari del nostro comune operare, cioè le comunità rom e sinte.
Per la seconda volta consecutiva nel giro di poche settimane, alcune persone rom che si erano rivolte al “Tavolo”, senza “appuntamento”, per manifestare tutta la loro preoccupazione circa il futuro degli insediamenti in cui abitano (che poi in gran parte sono gli stessi campi comunali in cui operano alcune delle Associazioni di cui sopra), sono stati invitati a ritornare in un altro momento, per non disturbare i lavori in corso.
Ma i problemi reali non consentono di posticipare le azioni da intraprendere, mentre il buonsenso e il rispetto verso chi poi subisce concretamente le scelte di politiche pubbliche così apertamente inefficaci e discriminatorie che fissano in tempi ravvicinati la soluzione di problemi complessi, dovrebbero suggerire una maggiore responsabilità in chi decide di sedere poi ai Tavoli Istituzionali, confermando o partecipando alle decisioni che ricadono come macigni sulle comunità rom e sinte.
Che l’operato dell’associazionismo “cattolico” (Casa della Carità, Caritas, Sant’Egidio, Padri Somaschi) e delle Cooperative di servizio dietro cui si celano legami “riconducibili” alla Compagnia delle Opere, nella gestione dei campi nomadi comunali, sia del tutto subalterno alle politiche imposte dall’Amministrazione milanese è ormai chiaro a tutti.
Attraverso lo scambio di servizi e convenzioni, spesso in deroga alla formula della “gara pubblica”, si destinano infatti le risorse che sulla carta dovrebbero favorire l’integrazione delle famiglie rom, verso azioni per lo più secondarie e prive di effetti concreti, mentre all’orizzonte si avvicina il momento in cui centinaia di famiglie rom rimarranno a Milano senza un’abitazione in cui vivere, magari con pochi agi, ma con una concreta “sicurezza”.
Se da una parte assistiamo impotenti alla “distrazione di risorse pubbliche” dalle finalità originariamente previste (dei 14 milioni di euro destinati a Milano solo 2 verranno investiti in “azioni” di superamento della condizione abitativa svantaggiata, mentre il resto del finanziamento si disperderà in azioni di propaganda preelettorale e intensificazione di improduttivi sgomberi), dall’altra parte le medesime Associazioni del Terzo Settore prima chiedono l’istituzione di un’Agenzia Pubblica della Casa, per poi sottoscrivere col Comune un contratto che le impegna in azioni di dismissione dei campi nomadi comunali, in assenza di una politica di accesso alla casa!
Tutto ciò non solo è inaccettabile sul piano etico e politico, ma contribuisce a rendere ancora più difficile la ricerca di politiche pubbliche efficaci, giuste e che diano una prospettiva di buongoverno alla città.
Di fronte alle “critiche” che in queste settimane sono andate crescendo dentro e fuori da tutti gli insediamenti, abbiamo spesso sentito controbattere: “se non ci vogliono più” (i Rom..), ce ne possiamo anche andare (le Associazioni…). Per quanto ci riguarda, “noi”, rispetteremo la libertà di scelta di ognuno… di Maurizio Pagani e Giorgio Bezzecchi, Opera Nomadi Milano
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