Mentre la minoranza xenofoba di Jimmie Akesson, depurata dalle componenti razziste e naziste, entrava trionfalmente nel Parlamento di Stoccolma ad ingombrare il passo alla maggioranza conservatrice del premier Reinfeldt, l’Europa non aveva ancora smaltito la sbornia anti-rom, ubriacata da un Sarkozy capace di dare il meglio nel peggio (alla Bossi, per intendersi) e di trascinare alla rissa le istituzioni dell’Unione, a partire da una Commissaria sventata, Madame Reding, a cui, nel fuoco della polemica, era sfuggita la differenza tra un’espulsione collettiva e una deportazione di massa.
Ma se il cattivismo di Sarkò non è parente del nazismo e le migliaia di rom incentivati a sloggiare dalla “paghetta” (300 euro per gli adulti, 100 per i bambini) corrisposta loro dal governo francese non somigliano al mezzo milioni di zingari ammazzati nei campi di sterminio nazisti, allora va tutto bene? Allora ha ragione Monsieur le Président, con la sua politica delle espulsioni per target etnici, che è sembrata, anche ai meno malevoli, più interessata a rintuzzare la concorrenza lepenista che a risolvere un problema di ordine pubblico?
Insomma, ha ragione chi nello schieramento liberal-conservatore europeo sostiene che non è possibile arginare l’esplosione della destra xenofoba e razzista senza soddisfare, almeno in parte, i sentimenti che ne alimentano il successo? Perché è questo, alla fine, che Berlusconi ha scelto di dire, schierandosi, senza alcun interesse per la dimensione istituzionale dello scontro, dalla parte di Sarkozy, contro quella di Barroso e della cancelliera Merkel. Ed è questo anche il senso dell’affinità elettiva che il premier ostenta per l’alleato leghista.
Eppure la questione dei rom è paradigmatica dei nodi che la politica dovrebbe imparare a sciogliere, anziché aggrovigliare. E della capacità che le classi di governo dovrebbero dimostrare nel maneggiare questioni “estreme”, senza scadere nell’estremismo o nell’opportunismo cinico. Sulla vicenda dei rom, ha quindi senso provare a ragionare non partendo dal caso francese, di cui molti si è discusso, ma da quello italiano, che per certi versi è ancora più significativo.Il pregiudizio contro gli "zingari" non è solo diffuso, ma “giustificato” da una speciale diffidenza per una minoranza, che la superstizione popolare sospetta da secoli di stregoneria e confidenza col Maligno, ma che le statistiche giudiziarie non aiutano purtroppo a presentare, agli occhi dell’opinione pubblica, come una minoranza “qualunque”. Così l’immagine dei rom non solo accresce la loro marginalità, ma consolida il pregiudizio contro di loro, fino ad “autorizzarne” una declinazione razziale, come se fossero, nel loro complesso, un tumore sociale e ciascuno, individualmente, una cellula attiva, capace di replicare e diffondere il male. di Carmelo Palma, continua a leggere...
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