Cari sindaci, cari carabinieri e vigili della polizia municipale, che cosa sta succedendo? Far rispettare la legge può significare violare i diritti fondamentali delle persone? E' possibile che un cittadino italiano non possa materialmente esistere, perché non può disporre di nessun metro quadro di territorio? A questo siamo arrivati di fatto oggi. Con le ultime leggi sulla sicurezza i sindaci possono emanare ordinanze che precludono a chicchessia la possibilità di stazionare sul proprio territorio. Ci sono in Italia persone che vivono in roulotte o in camper. Generalmente sono sinti o rom. Esco dal generico: vado al fatto, l'ultimo. Vengo chiamato d'urgenza. "Padre, ci sono carabinieri e vigili che ci vogliono cacciare e non intendono ragioni. Venga, faccia presto". Vado. E' vero: obbligo di sgombero. Per andare dove? Non interessa. "Devono andare via di qua", dice un vigile. Ma per quale reato e dove? "Siamo subissati dalle telefonate dei cittadini... Stamattina uno di quelli delle roulotte ha fatto la pipì all'aperto. E' stato anche fotografato". So, interrompo, che in questi giorni siete stati allertati per movimenti sospetti attorno ad alcune case, ma vi garantisco che non si tratta di queste persone.
Risposta di uno dei carabinieri: "Ma questi sono di quella gente, zingari". Sarebbe come dire che anch'io sono ladro, visto che molti italiani cercano di frodare con il "fai da te", dalle cricche politiche fino all'ultimo evasore. Così si spara sul mucchio, invece di perseguire chi veramente delinque. "Ma che vadano in zone attrezzate!". Appunto: tutti le reclamano ma nessuno si azzarda a realizzarle nel proprio Comune. "Ma noi che possiamo fare? Dobbiamo eseguire gli ordini". Certo. Ma chi coordina e dà gli ordini? Un panorama complesso, con personalismi e varie fonti di potere. "Che si mettano d'accordo!". Mi offro di andare dal sindaco immediatamente. Vado. Ho trovato comprensione e impegno. Accetta di dilazionare l'intervento. Ma tutte le contraddizioni rimangono, con rischio di spaccatura nella stessa coalizione di maggioranza. Ritorno al luogo delle roulottes. Vedo la gazzella dei carabinieri e dietro il furgone della polizia municipale. Cerco di raggiungerli per portare il messaggio del sindaco, facendo i fari a intermittenza... Accelerano e se ne vanno. Le roulottes non ci sono più ed è stata installata una sbarra con lucchetto per impedire l'entrata nella zona libera. Neanche la pazienza di una verifica! Anche la beffa! Ritelefono ai miei amici e li faccio comunque ritornare nella stessa zona, assumendomi la responsabilità di una disobbedienza civile di fronte a questa ingiustizia continua, nei confronti di 9 persone esasperate e perseguitate quotidianamente nella loro patria con un perenne foglio di via: ma verso dove? E molte volte trattate con aggressività e arroganza, non secondo legge! Stranieri in patria!
Conosco tutta la loro Via Crucis senza fine da un luogo a un altro, un numero interminabile di posti. Di mezzo c'è anche la perdita di una creatura per lo stress che procura questo tipo di vita. Nessuno che si avvicini, né un'assistente sociale, né qualche persona che si impegni a conoscere la situazione e prendersela a cuore.
Ci sono 3 bambini ma che importa? Nei momenti di tregua cercano di racimolare qualche soldo con la raccolta del ferro vecchio, ma con gli spostamenti continui non ce la fanno. E' vero. Nella nostra società oggi c'è più attenzione e sono più curati e protetti i cani e i gatti che questo tipo di persone. Eppure questi miei amici, come tanti altri sinti e rom, sono dispostissimi a rinunciare alle loro roulotte immediatamente, anche solo per un rudere di casa. Ma non possono partecipare a nessun concorso di assegnazione di case, perché non hanno i requisiti necessari, in particolare il reddito minimo e la residenza. Impossibile trovare un imprenditore disposto a provare a impiegarli in un lavoro. Tutti pretendiamo che si integrino nella società, ma non offriamo nessuna possibilità se non quella di essere mandati via. Sono tanti i sinti e rom analfabeti che desiderano un futuro migliore per i loro bambini e desiderano mandarli a scuola. Ma non si parte dai bambini per affrontare la situazione sociale. Ho raccolto le lacrime di qualcuna di queste mamme che non ce la fanno più. Sono lacrime proprio come quelle delle altre mamme, con qualche peso in più.
Eppure le leggi ci sono perché possano trovare un po' di pace: art 16 della Costituzione, Legge 328 - 2000, (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) Legge 1228 del '54 sull'iscrizione anagrafica. Ma è meglio ignorarle e stare alle ultime ordinanze. Spero vengano presto dichiarate illegittime, perché non possono prevalere sui diritti fondamentali della persona.
Mi premono due considerazioni:
1) Il fulcro del problema sta in noi. Parlo prima di tutto per me; anch'io, figlio di contadini, sono cresciuto con il pregiudizio e la paura degli "zingari". Sono cambiato quando ho accettato di conoscere le persone con i loro problemi. Il pregiudizio e la paura regola ancora i nostri "non rapporti" con i sinti e i rom, percepiti come più pericolosi degli immigrati. Le pressioni più forti sui sindaci e sulle forze dell'ordine vengono dalla popolazione stessa, che pretende sicurezza non affrontando i problemi, ma rifiutando in blocco questa categoria di persone. Non si fanno né distinzioni, né differenze e quindi non si accettano posizioni problematiche. I tentativi di soluzione vengono visti come una ingiustizia: "Vengono aiutati i delinquenti e non noi che fatichiamo tanto e siamo onesti". Anche le comunità ecclesiali sono in difficoltà, si delega qualche persona di buona volontà della Caritas, ma le comunità non vogliono saperne. Così anche i preti si rassegnano e si comportano come i sindaci. Se la gente si ribella che cosa possono farci? Se qualche prete si espone e richiama a un atteggiamento più umano, si ritrova con una parte dei fedeli che abbandona la messa. Quello dei più poveri e maltrattati pone un serio problema di fede.
2) E qui avviene il corto circuito della politica. Molti politici hanno ottenuto il consenso elettorale puntando sulla paura e andando a gara con la promessa della sicurezza. Più gli amministratori si mostrano intransigenti, più ottengono consenso. Ma la sicurezza delegata alle sole forze dell'ordine e alle case chiuse a chiave come casseforti non costruisce né fiducia né convivenza. I problemi vengono semplicemente rimossi e i pregiudizi e la paura rimangono e vengono scaricati sui più deboli socialmente, trattati come capri espiatori. Una riprova del disagio della nostra società si riscontra nelle esplosioni di violenza che avvengono con sempre più frequenza nelle nostre case. Oggi prevale la politica che cura soprattutto i serbatoi di voti. Sarà fatica, ma amministrare e governare significa anche oggi curare il bene di tutta la comunità, non solo la maggioranza, puntando alla convivenza con tutte le persone esistenti in un territorio, senza selezionare o scartare settori di società. A nessuno piacciono i problemi gravi in casa, ma quando ci sono bisogna affrontarli. E nella famiglia la sicurezza non si realizza con i controlli e gli interventi della polizia, ma con i rapporti di fiducia tra le varie persone, anche e soprattutto nei momenti più difficili. Questo come regola vale anche per la costruzione di qualsiasi altra forma di convivenza comunitaria. Proviamoci! di Don Albino Bizzotto
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