Ancora una volta le più elementari regole della partecipazione democratica alla vita politica vengono disattese proprio da chi ha il ruolo di rappresentare i cittadini, tutti i cittadini. Ieri pomeriggio alle 17 il Prefetto della città di Lecce e il Sindaco, che per inderogabili impegni Istituzionali continua a differire l’incontro con la delegazione dei cittadini rom e delle associazioni antirazziste, si incontrano per cercare soluzioni riguardo alla situazione che in questi giorni interessa il campo Panareo.
Non si comprende se la Prefettura abbia convocato un tavolo o solo un incontro col comune, ma sta di fatto che a questo incontro, guarda caso, i diretti interessati, le famiglie che tra pochi giorni si vedranno abbattute le loro baracche, andando incontro ad un destino ancora ignoto, e i rappresentanti del campo, eletti attraverso democratiche elezioni, non sono stati invitati.
Per l’ennesima volta si ripropone un copione culturale oramai logoro. Le istituzioni nel chiuso delle loro stanze pretendono di affrontare tematiche che riguardano la vita degli altri senza nemmeno sentire la voce di chi quotidianamente vive il disagio. Come si può pensare di prescindere dal costante coinvolgimento e dal confronto democratico con i cittadini ogni qualvolta un’istituzione è chiamata a prendere decisioni che li riguardano direttamente? Come possono rappresentanti delle Istituzioni, che non ci risulta abbiano mai messo piede nel campo di masseria Panareo, pretendere di trovare soluzioni alla vicenda? Nel loro atteggiamento sembra di rivedere quello dei funzionari colonialisti britannici, che nel chiuso delle loro stanze di Londra pretendevano di legiferare per l’India.
Sono almeno tre anni che chiediamo formalmente al Prefetto la convocazione di un Consiglio Territoriale che abbia come unico punto all'ordine del giorno la possibilità di individuare soluzioni concertate riguardo alle condizioni di vita e ai numerosi problemi e ostacoli che questo gruppo di cittadini quotidianamente incontra nello svolgimento della propria quotidianità. Problemi e ostacoli, in non pochi casi, creati dalle inadeguate decisioni pubbliche prese nel corso di questi ultimi venti anni!
Non si riesce a capire perché il prefetto continui a ignorare la questione del campo rifiutandosi
di convocare un tavolo coi soggetti interessati e disattendendo le numerose richieste e segnalazioni
che in questi giorni, più soggetti, stanno indirizzando alla sua attenzione.
La nostra richiesta in fondo non rappresenta nulla di eccezionale. Chiediamo semplicemente alla Prefettura di svolgere il ruolo che il Testo unico delle leggi sull’immigrazione prevede che svolga tramite i consigli territoriali, ovvero quello di pianificare, mediante il coinvolgimento degli attori istituzionali e non, le politiche migratorie a livello territoriale. Di fronte ai reiterati silenzi Istituzionali, ci chiediamo per quale motivo gli aspetti repressivi e razzisti delle leggi in materia di migrazioni sono con tanta solerzia applicate mentre tutte le norme riguardanti l’inclusione sociale dei cittadini stranieri sono sostanzialmente disattese?
Sembra di vivere un perenne déjà vu. Come al solito, quando le Istituzioni locali si muovono lo fanno solo sulla base dell’emergenza! Una situazione paradossale spesso creata da approcci superficiali, frammentati al territorio ed esasperata dall'assenza di strategie sociali e politiche concrete atte a risolvere i problemi.
A Lecce nel corso degli ultimi anni la questione rom è stata affrontata quasi esclusivamente come problema di ordine pubblico e di emergenza sanitaria, mancando totalmente di una reale prospettiva volta all’inclusione sociale. E ciò lo si evince facilmente se si guarda, ad esempio, al modo con cui è stata approntata la questione della sistemazione alloggiativa. I rom, fuggiti dalle guerre che hanno insanguinato la ex-Jugoslavia, al loro arrivo sul territorio leccese, nel più assoluto disinteresse di tutti, cercano di risolvere il loro problema abitativo occupando stabili pubblici lasciati all’abbandono (le case minime nel 1991 e l’ostello di San Cataldo poi) dai quali però vengono sgomberati per motivi di ordine pubblico, motivi igienici e norme anti-abusivismo. A questo punto le uniche proposte istituzionali messe in campo sono quelle di prevedere la realizzazione di un “campo sosta”, ignorando il fatto che questo gruppo di cittadini non è mai stato nomade, nemmeno nel loro Paese. È un gruppo di cittadini che ha imparato cosa voglia dire vivere in un campo, in roulotte, solo qui, nella “civilissima” Italia, in quel Salento che negli anni novanta veniva candidato al nobel per la pace in virtù della sua accoglienza.
Le Istituzioni dunque decidono di “accogliere” i cittadini rom, dapprima nell’ex-campeggio di Solicara (1995) e poi, dal 1998, si individua l’area di Masseria Panareo come luogo in cui farli “sostare”. Questo tipo di politiche istituzionali ispirate, un po’ come in tutta Italia, da un’urbanistica del disprezzo, ha avuto tra le altre conseguenze quella di determinare un'ulteriore ghettizzazione di questo gruppo di cittadini già negativamente connotati e stigmatizzati sul territorio. Una ghettizzazione che ha contribuito, tra l’altro, a rafforzare nell’opinione pubblica antichi e mai sopiti pregiudizi (i rom sono nomadi, sono sporchi, sono ladri, non voglio lavorare …). I campi, infatti, non solo non offrono alcuna risorsa per chi li abita, ma spesso escludono chi li abita da qualsiasi possibilità di interagire positivamente con il resto del tessuto sociale proprio a causa della loro dimensione stigmatizzante e marginalizzante (la qual cosa a Lecce è ad esempio favorita dall’assoluta mancanza di collegamenti pubblici tra il campo e le città limitrofe).
Attualmente, dopo venti anni di “sosta”, nel campo ci vivono circa duecento persone. La maggior parte di loro sono bambini e ragazzi, molti dei quali (il 46%) sono nati e cresciuti qui in Italia. Un'intera generazione nata e cresciuta all’interno di un campo, il cui futuro non sembra interessare chi ha il compito di rappresentare tutti i cittadini. Nel campo poi ci vivono alcuni rifugiati politici che, in base alle vigenti leggi, avrebbero dovuto seguire altre vie per l’inserimento sociale nella vita della città e nel suo tessuto urbano. Ci vivono anziani, alcuni dei quali invalidi e affetti da gravi patologie sanitarie. Ci vivono uomini e donne che rivendicano come priorità quella di uscire dal campo e inserirsi all’interno del tessuto urbano e sociale della provincia di Lecce, ad incominciare dalla possibilità di avere accesso a forme abitative più consone e a forme di lavoro regolari che ad oggi, anche per via dei diffusi pregiudizi, di fatto si vedono negare.
Sarebbe bastato poco alle Istituzioni per invertire la rotta di questi venti anni di disinteresse, sarebbe bastato che in questo lungo periodo fosse esistita la volontà di interloquire con i cittadini rom, che si fossero ascoltate le loro sollecitazioni anziché farle cadere nel silenzio. Un’assordante indifferenza che pesa troppo. Un macigno sul futuro e sui sogni di sessanta bambini ai quali non si riesce ad offrire nient'altro che 500 euro per l’acquisto di qualche roulotte. In fondo si tratta solo di quattordici famiglie! Sembra curioso che enti locali e prefettura – attraverso piani di zona o consigli territoriali - non riescano ad intervenire a sostegno di un numero così sparuto di cittadini. Ed i soldi che il comune spende per il campo? Spesi male o usati per altro?
E quel milione di euro presi dal comune dalla comunità europea per realizzare un progetto di 16 minuscole casette con bagni quasi inagibili, una fogna inutilizzabile ed un impianto elettrico a trifase che fa arrivare ottocento euro di bollette bimestrali a famiglia? di Ciny Antonio Ciniero
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