Nel cuore della Settimana Santa che precede la Pasqua, alla vigilia della beatificazione di Giovanni Paolo II, la Comunità di Sant’Egidio esprime stupore, preoccupazione e disappunto per le recenti scelte dell’Amministrazione di Roma Capitale nei confronti dei Rom e dei profughi giunti in questi giorni dal Nord Africa. Non si intravede una “politica” e di certo una “politica di accoglienza e umanità” all’altezza del ruolo di Roma e delle sue responsabilità nazionali e internazionali.
Molti Rom sono stati sgomberati nelle ultime settimane e in questi giorni senza alternative (se non la proposta di dividere le famiglie) e sugli immigrati ci si è affrettati in più occasioni, non solo a mezzo stampa, ma nelle riunioni operative, a puntualizzare che “a Roma non devono venire”.
Come cristiani e come cittadini crediamo che questo non possa essere il volto di Roma. E’ un segnale grave, di assenza di idee, di incapacità di visione, di errato messaggio inviato alla cittadinanza, che incoraggia chiusura e durezza immotivate.
Mentre ad inizio aprile la Commissione Europea varava un documento per l’inclusione dei Rom, in concomitanza con la Giornata Internazionale dei Rom, sono iniziati a Roma sgomberi quotidiani e ripetuti di famiglie Rom che vivevano in “insediamenti spontanei”.
Si è iniziato da piccoli insediamenti, ma negli ultimi giorni vi è stata un’escalation, sconosciuta all’opinione pubblica, ma non ai rom e alla Comunità di Sant’Egidio, che ha riguardato insediamenti più grandi: da Lungotevere S. Paolo a Via Severini, all’ex Mira Lanza. Ieri, mercoledì, è stato sgomberato un campo con 270 persone a Via del Flauto.
All’indomani della morte dei 4 bambini bruciati sull’Appia l’Amministrazione aveva annunciato che si sarebbero chiusi i “campi abusivi fatti di baracche”, ma trasferendo contestualmente gli abitanti in luoghi di accoglienza idonei e degni: si è parlato prima di tendopoli e caserme, poi del Centro Assistenza Rifugiati, il CARA di Castelnuovo di Porto. Non certo soluzioni definitive, ma un modo di garantire sicurezza almeno nel breve periodo.
Contrariamente a quanto annunciato, alle famiglie sgomberate non è stato proposto il trasferimento in una struttura, ma soltanto la possibilità di dividersi: donne e bambini al CARA, uomini in strada. E’ una proposta già fatta in passato e di cui già si conosce l’esito: nessuna famiglia vuole dividersi (si ricorda che le famiglie Rom sono formate da persone, madri, padri, bambini, e che a nessun cittadino non-Rom, verrebbe mai proposta la divisione dei nuclei familiari come politica della sicurezza e dell’integrazione). Come è ovvio, ma non ai programmatori e responsabili delle politiche sociali nella nostra città – e purtroppo anche in altre parti d’Italia - nessuno accetta soluzioni che disperdono i nuclei familiari. Il rifiuto ha per conseguenza la dispersione degli interi nuclei familiari sul territorio cittadino, in condizioni ancora più precarie e insicure. E con l’interruzione del percorso di integrazione sociale e scolastica.
Il risultato è che oggi più di 600 persone vagano già per la città senza un luogo dove dormire: tra loro molti bambini. Alcuni di loro, a seguito degli sgomberi hanno già interrotto –per l’ennesima volta - il percorso di inserimento scolastico a pochi mesi dalla conclusione dell’anno. A titolo di esempio si ricorda che la famiglia che ha subito la terribile perdita dei quattro bambini bruciati era presente sul nostro territorio da 10 anni e che aveva subito già trenta sgomberi, con i risultati che si possono immaginare per la scolarizzazione e l’uscita dalla marginalità.
E’ evidente che se la preoccupazione che ha spinto a fare gli sgomberi è la sicurezza degli abitanti e impedire nuove tragedie tra i Rom e i bambini Rom, oggi quei bambini sono più in pericolo di prima: vagare con le famiglie in cerca di un nuovo posto dove dormire non migliora i problemi di ordine pubblico della città. Gli sgomberi continui e il “gioco dell’oca” senza soluzioni con le famiglie Rom rende anche più difficile l’azione di monitoraggio della legalità da parte delle forze dell’ordine che perdono contatto con nuclei abitativi consolidati. Con conseguenze negative talmente evidenti che è inutile spiegare più di tanto.
Ma gli sgomberi, intanto, mostrano l’incapacità di Roma a svolgere un ruolo di guida in una politica dell’accoglienza e dell’integrazione. Sicuramente in contrasto con il carattere di capitale non solo nazionale, ma del cattolicesimo.
Sul versante dei migranti giunti in Italia nelle ultime settimane dalla Tunisia e dalla Libia, la risposta della Capitale non è stata migliore. Mentre scorrevano immagini di bombardamenti e profughi, mentre ancora si piangevano i morti in mare, come è noto, si è creato un caso nazionale per due pullman in transito che hanno “fatto scalo” a Grottarossa, per una notte, fino ad essere recintati e tenuti “a vista” per le poche ore di permanenza. Al di là dell’esagerazione e del ridicolo, ancora una volta si è legittimato un clima immotivato di allarme nella popolazione e la convinzione che “Roma è piena” in un momento in cui si attendono centinaia di migliaia di pellegrini e forse oltre un milione di persone. In questi giorni, ancora, la vicenda immigrati registra persone alla Stazione Termini che, secondo l’Amministrazione, “appena possibile dovranno partire”.
La Comunità di Sant’Egidio chiede:
- di interrompere gli sgomberi di Rom dai campi informali se non si è in grado di offrire un’alternativa dignitosa e vivibile all’intero nucleo familiare
- di interrompere qualunque intervento sociale o di “inclusione sociale” che ritiene normale dividere i nuclei familiari, con pregiudizio dei processi educativi, formativi e di ordine pubblico
- che il Comune gestisca l’attuale situazione degli immigrati nordafricani tenendo conto del contesto nazionale ed internazionale, ricordando che si tratta di profughi con regolare permesso di soggiorno
- di dotare la città di Roma (e il contesto Metropolitano e Regionale) di Centri transitori di accoglienza con un’azione di orientamento e mediazione che permetterà poi di inviare i profughi in altre località in modo appropriato e in maniera mirata, nei tempi necessari a costruire percorsi intelligenti e non casuali.
La Capitale ha risorse umane, economiche, spirituali e culturali per rispondere a una fase – anche promettente – di cambiamento del mondo, senza rifugiarsi nel tunnel dell’emergenza perenne e nella logica spaventata della “città chiusa” o di chi dice che “la barca è piena”. Auspichiamo con urgenza un ripensamento e un cambio di direzione perché Roma sia all’altezza della propria storia, del proprio nome e della tradizione di accoglienza e universalità per cui è nota ed amata nel mondo. di Paolo Ciani
1 commento:
Il Sindaco di Roma, come per altro il Sindaco di Milano, si trincera dietro la sua responsabilità sulla condizione dei minori per dividere le famiglie.
E' una modalità di azione miope che demolisce la sacralità della famiglia e che non porta a nessun beneficio.
Condividiamo l'intervento di Paolo Ciani.
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