Resa nota la decisione della Cassazione n. 17696/2010 in merito alla nota vicenda della minore Rom accusata di aver sottratto una neonata a Ponticelli (Na).
Per ragioni di opportunità, il collegio di difesa ha reso noto soltanto oggi la decisione della Corte di Cassazione, V. sez. penale, n. 17696/2010 depositata il 7 maggio 2010, con la quale era stata annullata la decisione del Tribunale per i Minorenni di Napoli di respingere l'istanza di scarcerazione di A.V., la quindicenne Rom accusata di avere rapito una neonata a Ponticelli (NA) nel maggio 2008, avvenimento che scatenò la devastazione dei campi rom di Ponticelli. La minorenne Rom era stata condannata in primo grado alla pena detentiva di anni 3 e 8 mesi, sentenza poi confermata in appello. E' tuttora pendente il ricorso in Cassazione.
La decisione del Tribunale per i Minorenni di Napoli aveva suscitato perplessità e sconcerto presso il collegio di difesa dell'accusata, nonché presso organizzazioni di tutela dei diritti dei Rom, per il ricorso da parte del collegio giudicante ad affermazioni che rimandavano - piuttosto che a valutazioni sulla pericolosità sociale della singola imputata - a pregiudizi e stereotipi di matrice etnico- razziali nei confronti della popolazione Rom in generale. Nel rigettare l'istanza di scarcerazione, infatti, il collegio giudicante aveva ritenuto che continuavano a sussistere i presupposti per la custodia cautelare derivanti dal pericolo di fuga e di recidiva in conseguenza del fatto che "l'appellante (sarebbe) pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom" per cui "sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano, infatti, misure inadeguate anche in considerazione della citata adesione agli schemi di vita Rom, che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole". L'esame della situazione personale dell'interessata viene così filtrata attraverso la sua adesione a schemi di vita tipicizzati del popolo cui essa appartiene, che sarebbero caratterizzati in generale e tout court dal mancato rispetto delle regole. A detta del collegio di difesa, sembrava dunque configurarsi nel giudizio della Corte un pericoloso principio per cui la mera appartenenza al gruppo etnico rom renderebbe di per sé inconciliabile l'applicazione delle misure cautelari a prescindere da una seria valutazione su basi personali ed individuali, mediante invece l'utilizzo di una "categorizzazione" o "profilo etnico".
La Corte di Cassazione ha accolto i rilievi della difesa sostenendo che "non è legittimo, in quanto riconducibile ad una visione per stereotipi (mal celatasi dietro ad un generico richiamo alla "comune esperienza") marcata da pregiudizi di tipo razziale, il riferimento agli schemi culturali dell'etnia di appartenenza".
La vicenda presa in esame dalla Cassazione richiama una recente giurisprudenza maturata in seno alla Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Paraskeva Todorova c. Bulgaria (CEDU, sentenza dd. 25 marzo 2010, caso n. 37193/07). Qui, una corte bulgara, nel condannare l'imputata di origine etniche Rom, aveva espressamente respinto la raccomandazione del pubblico ministero per l'applicazione della pena condizionale, dichiarando che una cultura di impunità era imperante entro la minoranza etnica Rom, così sottintendendo che la sentenza doveva fungere da esempio per l'intera medesima comunità. La Corte di Strasburgo ha quindi concluso che le autorità giudiziarie bulgare avevano violato il principio del processo giusto (art. 6 CEDU), in relazione a quello di non discriminazione (art. 14 CEDU). da ASGI
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