Il Papa nel discorso pronunciato di fronte ai circa 2mila sinti, kale, manouche, rom, jenisch ricevuti nell'aula Paolo VI in Vaticano: ''Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo''. In udienza la testimonianza di Ceija Stojka scampata ai lager: ''Sento ancora l'odore dei corpi bruciati, come posso dimenticare?''
''La coscienza europea non può dimenticare il dolore inflitto ai rom e sinti con il barbaro sterminio nei campi di concentramento''. E' questo uno dei passaggi centrali del discorso del Papa pronunciato ieri mattina nell'aula Paolo VI in Vaticano. E' la prima volta che accade. L'incontro è stato organizzato dal Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti, dalla Comunità di Sant'Egidio e dalla fondazione Migrantes della Cei.
''Purtroppo - ha aggiunto il Papa - lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella Seconda Guerra Mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio''.
Lo sterminio da parte dei nazisti, ha detto il Papa, ''è stato - come voi dite - il Porrajmos, il 'Divoramento', un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore. Durante la mia visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 28 maggio 2006, ho pregato per le vittime della persecuzione e mi sono inchinato di fronte alla lapide in lingua romanes, che ricorda i vostri caduti''.
''La coscienza europea - ha proseguito il Pontefice - non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo! Da parte vostra, ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa della sofferenza altrui!''.
Quindi l'invito ''a scrivere insieme una nuova pagina di storia per il vostro popolo e per l'Europa'' e a dare ''fattiva e leale collaborazione, affinché le vostre famiglie si collochino degnamente nel tessuto civile europeo''. I sinti, kale, manouche, rom, jenisch sono giunti a Roma in pellegrinaggio nella ricorrenza del 75° anniversario del martirio e del 150° della nascita del Beato Zefirino Gimenez Malla (1861-1936), kale di origine spagnola. ''Numerosi tra voi - sono state le parole di Benedetto XVI - sono i bambini e i giovani che desiderano istruirsi e vivere con gli altri e come gli altri. A loro guardo con particolare affetto, convinto che i vostri figli hanno diritto a una vita migliore''. ''Sia il loro bene - ha detto ancora il Papa - la vostra più grande aspirazione! Custodite la dignità e il valore delle vostre famiglie, piccole Chiese domestiche, perché siano vere scuole di umanità. Le istituzioni, da parte loro, si adoperino per accompagnare adeguatamente questo cammino''.
All'udienza anche la testimonianza di chi è scampato ai lager. ''Mi chiamo Ceija Stojka. Quando sono nata in Austria la mia famiglia contava più di 200 persone - racconta una superstite - Solo sei di noi sono sopravvissuti alla guerra e allo sterminio. Quando avevo 9 anni fui deportata con la mia famiglia prima ad Auschwitz, poi a Ravensbruk e a Bergen-Belsen''.
''Ero bambina - prosegue il racconto - e dovevo vedere morire altri bambini, anziani, donne, uomini; e vivevo fra i morti e i quasi morti nei campi. E mi chiedevo perché? Che cosa abbiamo fatto di male? Sento gli strilli delle SS, vedo le donne bionde le 'Aufseherinnen' (sorveglianti) con i loro cani grandi che ci calpestavano, sento ancora l'odore dei corpi bruciati. Come posso vivere con questi ricordi? Come posso dimenticare quello che abbiamo vissuto?''.
''Non è possibile dimenticarlo - dice ancora Ceija Stojka - e l'Europa non deve dimenticarlo. Oggi Auschwitz e i campi di concentramento si sono addormentati, e non si dovranno mai più svegliare. Ho paura però, che Auschwitz stia solo dormendo''. ''Per dire la verità - aggiunge - non vedo un futuro per i rom. L'antigitanesimo e le minacce in Ungheria, ma anche in Italia e in tanti altri posti mi preoccupano molto e mi rendono triste. Ma vorrei dire che i rom sono i fiori di questo mondo grigio. Hanno bisogno di spazio e di aria per respirare''.
''Se il mondo non cambia adesso - spiega Ceija Stojka - se il mondo non apre porte e finestre, se non costruisce la pace - la pace vera! - affinché i miei pronipoti (il quarto nascerà fra alcuni mesi) abbiano una chance per vivere in questo mondo, allora non so spiegarmi il perché sono sopravvissuta ad Auschwitz, Bergen-Belsen e Ravensbruk''.
Tra le testimonianze anche quella di Carlo Mikic, uno studente romano di 18 anni di etnia rom rudara nato e cresciuto in un campo a Roma. ''Quando sei un bambino che vive in un campo - ha detto - a scuola non sei considerato come tutti gli altri. Quando cresci e cerchi un lavoro e nei documenti vedono nell'indirizzo 'campo nomadi', ti dicono no grazie''.
''Lo so - ha aggiunto - che ci sono dei rom che sbagliano, che si comportano male, ma la responsabilità è sempre personale e la colpa non è mai di un'etnia o di un popolo. Quando penso al futuro, penso a città e paesi dove ci sia posto anche per noi, a pieno titolo, come cittadini come tutti gli altri, non come un popolo da isolare e di cui avere paura''.
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