Durante le celebrazioni per la commemorazione del beato Ceferino Giménez Malla, detto Zeffirino, il quotidiano Avvenire ha intervistato Bruno Morelli (in foto davanti alla sua scultura), artista eclettico appartenente alla minoranza linguistica dei rom abruzzesi.
È un luogo di culto unico in Europa. Dedicato al beato Ceferino Giménez Malla – Zeffirino, in italiano –, gitano elevato agli onori degli altari il 4 maggio 1997 per aver professato la fede fino alla morte: venne fucilato dagli anarchici il 2 agosto 1936, durante la guerra civile spagnola.
La chiesa a cielo aperto è stata inaugurata nel 2004 presso il Santuario romano del Divino Amore, già meta di pellegrinaggio dei rom, soprattutto abruzzesi, insediati nelle regioni del Centro Italia già dalla fine del Trecento; fra loro, anche Bruno Morelli, originario di Avezzano e diplomato all’Accademia delle Belle Arti de L’Aquila.
All’alba dei 54 anni, è un artista eclettico: pittore, scultore, mosaicista, nonché autore di saggi e articoli sulla cultura rom in Italia e in Europa, «per far emergere nel suo vero e autentico volto un popolo da lungo tempo incompreso ed emarginato». Direttore artistico dell’intero progetto al Divino Amore, ha realizzato alcuni bassorilievi in ceramica policroma e soprattutto l’imponente statua bronzea – alta circa quattro metri e larga tre – raffigurante il beato Ceferino, che sarà commemorato domani [ndr il 12 giugno] nel 150° anniversario della nascita e nel 75° del martirio.
Il significato dell’opera, in cui la figura di Ceferino appare innestata in un tronco? «Una sintesi simbolica tra la tradizione cristiana e quella rom, in perfetto equilibrio teologico e antropologico – spiega Morelli –, laddove convivono due spiritualità differenti ma accomunate dalle stesse radici: la volontà di riconoscere un solo Dio al di sopra di noi».
Infatti, «se da una parte l’albero per i rom ricorda la famiglia e il luogo di 'rifugio', altrettanto per i cristiani ricorre la simbologia dell’immortalità dell’elemento che collega il cielo alla terra». Inoltre l’albero della vita indica biblicamente la croce, «il legno su cui viene crocifisso il Figlio di Dio» morto e risorto. Così il beato «si protende verso l’alto, innestato in questo processo rigenerativo, consegnato al mistero dell’eternità. Il prezzo da pagare? La vita; o la vita o niente – commenta l’artista –. Infatti il beato è colto nell’atto del trapasso, a causa della fucilazione, mentre cade all’indietro trafitto come Gesù al petto dalla lancia romana; s’intravede sotto il costato la ferita ingrandita, una fenditura lacerante dalla quale penetrano i raggi del sole che sorge al mattino», chiara allusione alla Risurrezione.
Ma il legame tra Morelli e Ceferino era iniziato già nel 1997: in vista della beatificazione, l’artista aveva dipinto l’immagine usata per lo stendardo esposto in piazza San Pietro durante il rito, presieduto dal beato Giovanni Paolo II. di Laura Badaracchi
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