Nessuna violenza sessuale
di gruppo. Nessuna riduzione in schiavitù, né alcuna tratta degli
esseri umani. Nessun maltrattamento su minorenne. Nessun matrimonio
forzato. E’ netta la sentenza pronunciata oggi dal Tribunale di
Pisa nel processo cosiddetto “della sposa bambina”.
Ricordiamo brevemente i
fatti. Nel 2010 vengono arrestati sette rom del campo di Coltano:
secondo l’accusa, avevano portato in Italia una minorenne kosovara,
costringendola a sposarsi, riducendola in schiavitù e compiendo su
di lei abusi e violenze sessuali. Nel corso del processo, il Pubblico
Ministero ha ipotizzato anche forme di pressione e di violenza
psicologica.
La sentenza di oggi ha
demolito questo castello di accuse: a carico degli imputati resta
solo il reato di immigrazione clandestina, per il quale la difesa
ricorrerà in appello. Si tratta però, è bene dirlo, di una
condanna che cambia radicalmente il senso del processo. Era stato
disegnato un quadro fatto di rom primitivi e violenti, dediti allo
sfruttamento dei minori e al maltrattamento delle donne; una comunità
in cui i matrimoni sono forzati e la volontà delle spose è
calpestata. Un vero e proprio catalogo dei peggiori pregiudizi sui
rom.
Oggi, quel che resta di
queste accuse è il semplice ingresso irregolare in Italia. Un reato
che non configura una violenza sulle persone, e che dipende da
semplici fatti amministrativi: solo per fare un esempio, se la
ragazza fosse stata cittadina albanese anziché kosovara, non
esisterebbe reato (l’entrata dall’Albania, infatti, non richiede
visto di ingresso).
Ma ciò che è più grave
in questa vicenda è il coinvolgimento del Comune di Pisa e della
Società della Salute. Sin dall’inizio, gli amministratori di
questa città hanno utilizzato il processo per diffondere veleni
sulla comunità rom. Il Comune ha condannato gli imputati prima
ancora della sentenza: ricordiamo che una giovane donna è stata
sfrattata con i suoi cinque figli (l’ultima di appena sei mesi)
perché coinvolta nella vicenda processuale.
Noi chiediamo che sia
restituita la dignità a persone che per mesi sono state
ingiustamente umiliate. Chiediamo al Comune di rispettare la
Costituzione, e quindi di revocare tutte le misure punitive a carico
degli imputati (a partire dagli sfratti), finché non si giungerà
alla fine dei tre gradi di giudizio: è l’unico modo per rimediare
ai gravi danni, materiali e morali, inflitti a queste famiglie.
Il nostro pensiero e la
nostra solidarietà vanno alle persone ingiustamente accusate di
crimini odiosi, ma anche alla giovane minorenne kosovara (la
cosiddetta “sposa bambina”): vittima di una vicenda più grande
di lei, vittima di vergognose strumentalizzazioni politiche da parte
del Comune. di Associazione Africa Insieme di Pisa
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