Il Ministro Kyenge a Mantova insieme a Lilian Thuran per inaugurare la nuova sede di Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni. Il mondo che vogliamo non è la
politica del couscous, il cambiamento c’è già ma non tutti hanno
capito. La riforma della cittadinanza? Chiesta da sinistra e destra.
Al riparo da
telecamere e taccuini, mentre tutti gli altri agguantano sedie e
stringono mani, il gigante dal piede d’oro sorride alla scorta, si
avvicina alla piccola donna impettita nel tailleur blu, l’abbraccia
e le parla sottovoce, come fosse un segreto tra vecchi amici: «Guardi
che c’è tanta gente dalla sua parte, ed è la maggioranza.
Italiani e stranieri. Tutti. Tante persone sono con lei. Deve essere
forte e andare avanti».
È la prima volta che s’incontrano,
Lilian Thuran, ex difensore bianconero e ambasciatore Unicef, e il
ministro Cecile Kyenge, ieri a Mantova invitata da Articolo 3
all’incontro su “Cittadinanza umana e italianità: la comunità
culturale e il dibattito sullo ius soli”. Un uomo i cui muscoli non
soffocano i neuroni e una donna che ha dovuto gonfiare il petto e
fortificare le spalle appena nominata ministro per l’integrazione.
«Ogni
rappresentante delle istituzioni dovrebbe viaggiare per l’Italia,
bisogna ridurre le distanze, perché ogni luogo è una ricchezza.
Mantova è un grande esempio. Questo festival, da sempre
multiculturale, e la coesione sociale». Parte da lontano, la strada
dell’immigrazione, dalle scuole appunto, «e dallo sport, dalle
associazioni. Il cambiamento è già iniziato, soltanto che tanta
gente deve ancora capirlo. Per questo bisogna premiare le buone
pratiche in ogni settore».
La cittadinanza, il tema forte del ministro, obiettivo degli
attacchi: «La riforma per la legge sulla cittadinanza è voluta dal
Paese e non dalla ministra e lo dimostrano le circa 20 proposte di
legge depositate fra Camera e Senato, sia da destra, sia da sinistra»
ricorda e sottolinea che il Parlamento è già al lavoro. Sono due
percorsi paralleli, quello culturale e quello legislativo»
Sfoglia il
Piccolo Principe nel raccontare l’episodio della scuola nel
bergamasco in cui gli alunni italiani sono stati ritirati per la
presenza di troppi stranieri: «Dobbiamo cominciare un attimo ad
ascoltare i nostri figli. Bisogna cambiare criteri e cominciare a
chiedere un po’ più di rafforzare il modello formativo e non
chiedersi l'origine, la composizione della classe o il colore della
pelle delle persone. Sono altri i criteri ai quali dobbiamo far
riferimento».«Quando chiediamo ai nostri figli come sono fatti i
loro amici non rispondono quello è del Niger oppure quello è del
Marocco ma dicono: quello fa collezioni di farfalle»: sceglie Saint
Exupery il ministro, per colorare un discorso in cui politica ed
esperienza si intrecciano senza riuscire a sciogliere i nodi.
Altro punto del programma la lotta al
razzismo, «per cui bisogna potenziare la sensibilizzazione non solo
nella scuola, ma anche nelle politiche abitative e del lavoro».
Infine, sintetizza il Kyenge-pensiero, «intendo puntare alle
politiche giovanili. Se mancano luoghi di aggregazione mancano le
occasioni per conoscersi». In questa direzione, spiega, sta
preparando un bando per 15mila giovani per incentivare l’impegno
nel sociale.
Un sassolino dalla scarpa però se la
vuole togliere: «A volte mi si attacca per cose che io non ho mai
detto né pensato. Le leggo sui giornali e mi chiedo se ho parlato
nel sonno. Ad esempio non ho mai detto di voler genitore uno o due o
di togliere le seconde case agli italiani. Se mi attaccate per le
idee fatelo però per quelle giuste». Scatena applausi, ma al
ministro imperturbabile non sembrano interessare troppo. É il tempo
del fare, «e qui a Mantova ne state dando prova. I libri, la cultura
sono il veicolo più importante per trasmettere il cambiamento che è
in atto».
Ascolta concentrata la lettura, a
parole smozzicate, di uno dei profughi arrivati a Mantova due anni fa
dalla Libia. «Provate a immaginare di trovarvi nella nostra
situazione anche soltanto per un giorno».
Accoglie
sorridente, in via Facciotto, il dono di una foto da parte del
presidente dell’Auser. Batte il piede fasciato nella decolletè al
ritmo delle percussioni dei tamburi di Mantova. Alla mensa dei
volontari si incanta, in piedi, ad ascoltare Cecilia Strada che tira
fuori rabbia e conoscenza vera della Siria. Nei minuti risicati per
il pranzo assaggia agnoli, tortelli e salame.
«Il mondo che vogliamo non è la
politica del couscous, ma un impegno da portare avanti tutti i giorni
nel quotidiano, ma anche cambiando le leggi»: la sintesi è di
Mercedes Fria, la presidente di Emergenza “Prendiamo la parola”.
«Lei signor ministro, ce me sta dando testimonianza». da Gazzetta
di Mantova
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