Inaugurazione del CES |
Ieri notte, 28 Maggio 2017, davanti al
cancello del CES (centro di emergenza sociale) di via Sacile, M. ,
una donna rom di 42 anni, è morta. Lascia i genitori, il marito e 3
figli. Dormiva su un materasso all’aperto, dopo che la mattina di
venerdì 26 la polizia locale aveva sgomberato – distruggendo tutte
le loro cose - il gruppo di famiglie che si era accampato nel
boschetto a fianco del Centro. Erano per lo più parenti degli ospiti
del CES, come M. che nel centro aveva la sorella. Alcune di queste
famiglie, tra le quali quella di M., si erano accampate alla bell’e
meglio davanti all’ingresso del centro.
Ieri sera, di fronte a parenti e ospiti, questa donna ha avuto un attacco cardiaco e ha agonizzato in attesa dell’ambulanza, che giungeva solo dopo oltre mezz’ora perché chi in quel momento era responsabile del Centro non si peritava di rispondere alle richieste di aiuto. Di fronte a questa vicenda, per la quale mancano le parole per descriverne l’infinita miseria e l’infinita disumanità, poche domande si devono porre all’amministrazione.
Perché è stato deciso questo sgombero
in contraddizione con tutte le prescrizioni - senza preavviso, senza
assistenti sociali e senza proposte alternative -, ma soprattutto in
contrasto con il più banale sentimento umano?
Perché la persona del Centro presente
non ha chiamato immediatamente l’ambulanza nonostante le
insistenti, pressanti e disperate richieste degli ospiti del Centro?
Perché nessuno dei solerti tutori
dell’ordine e della sicurezza cittadina autori dello sgombero ha
tenuto conto dei documenti esibiti da M. a testimonianza del suo
stato di salute?
Infine, in questa tragedia si specchia
la situazione di abbandono delle comunità rom, resa emblematica
dalle condizioni di un Centro che avrebbe dovuto accogliere per
includere e che nell’attuale assenza di una strategia diventa solo
un luogo di segregazione e di sofferenza. Sono domande penose alle
quali però siamo certi si devono risposte, così come siamo certi si
cercheranno eventuali responsabilità di questa morte, per il
rispetto dovuto a una donna che aveva una sola colpa, essere una
“zingara”.
ReteRom
(Associazione ApertaMente di
Buccinasco, Associazione Upre Roma, Associazione di Promozione
sociale Fabrizio Casavola, GRT, NAGA)
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