In questi giorni si è aperto un forte
dibattito a livello nazionale che coinvolge l'associazionismo sinto e
rom e non solo, ricercatori e professori universitari. La discussione
si è generata quanto Santino Spinelli ha contestato su Facebook il
convegno organizzato dall'ICISMI e dopo la pubblicazione
dell'abstract di una ricerca condotta a Roma dalla 21luglio. Ieri è
intervenuto Luca Bravi con un articolo pubblicato su Radiocora.it.
Sono due le immagini da cui partire per
riprendere il ragionamento sviluppatosi in questi giorni intorno al
dibattito tra universalismo e etnicizzazione rispetto alle politiche
d’inclusione di (o con) rom e sinti.
La prima immagine rimanda alla
necessità di ricordare che il mondo in cui viviamo è fortemente
etnicizzato: i nostri governi sono fortemente etnici, etniche sono le
nostre rappresentanze nei parlamenti nazionali ed europei, dunque
esistono maggioranze etniche fortemente rappresentate ed in grado di
gestire il potere e minoranze prive di rappresentanza (soprattutto se
prive di uno Stato). Tra i poteri più consistenti gestiti dalle
maggioranze etniche c’è quella di poter nominare e fornire
categorie di riferimento, un’azione che corrisponde a poter
“nominare” e cioè porre etichette su soggetti ed oggetti
circostanti.
La seconda immagine è la riflessione
offerta da un sindaco di una città del centro-Italia che ci
trasporta immediatamente verso ciò che riguarda la necessità di
dare risposte amministrative concrete per l’inclusione di rom e
sinti nelle città del presente: “ho otto famiglie sinte che vivono
in un’area di sosta pubblica che ha grandi problemi, sono convinto
che i campi nomadi vadano superati, perché sono l’origine di
emarginazione ed esclusione di tutti i tipi, allora ho offerto la
soluzione della casa come emergenza abitativa, ma le famiglie non
hanno accettato e mi hanno chiesto di adoperarmi per attrezzare una
micro-area; pur restando convinto che la casa sarebbe meglio, se io
oggi avessi avuto la possibilità di offrire loro una micro-area già
costruita, io avrei risolto tutti i loro problemi abitativi”.
La riflessione inizia da queste due
premesse: la prima ci dice che siamo immersi in un contesto talmente
etnicizzato che il gruppo maggioritario detiene pure la possibilità
di dichiarare l’etnicità degli altri, ma di negare la propria; la
seconda ricorda che l’universalismo dei diritti (e dei doveri)
rappresenta una fondamentale meta verso cui tendere, ma applicato
senza compromessi nel presente può causare il permanere di problemi
d’inclusione, di fatto acuendoli e lasciandoci senza un mete
intermedie su cui incontrarci per predisporre una soluzione
spendibile.
E’ in questo contesto che va
considerato il dibattito sviluppatosi tra la posizione espressa in
particolare e con forza da Associazione 21 Luglio di Roma e che porta
l’universalismo fino alla scelta di eliminare l’etichetta “rom”
(colpevole di storiche azioni che tramite l’etnicizzazione hanno
estremizzato l’esclusione) e la posizione opposta espressa
dall’associazionismo rom e sinti riconducibile alle figure di
Dijana Pavlovic, Santino Spinelli, Graziano Halilovic ed altri che
riconosce in questo approccio fortemente universalista gestito
soprattutto da “esperti non rom/non sinti” un modo di trattare la
minoranza rom come oggetto di studio e non come soggetti attivi a
livello sociale e politico.
Naturalmente, la posizione
universalista non è solo di 21 Luglio ma è condivisa anche da
studiosi non rom come pure da alcuni rom (ed anch’io la intravedo
come punto d’arrivo ideale), d’altro canto la critica mossa dalle
altre associazioni è condivisa anche da alcune componenti non rom e
non sinte e considerarla seriamente significa far emergere un fulcro
nodale di tutta la discussione tuttora in atto. Chi si muove sulla
scia dell’universalismo e della cancellazione dell’etichetta rom
per non ripercorrere la trascorsa politica differenzialista,
naturalmente non intende negare la necessità di coinvolgimento ed
attivismo rom e sinto, ma in tal modo viene percepito da chi critica
tale posizione, soprattutto dall’interno del mondo rom.
A questo punto potremmo ridurre il
ragionamento ad una metafora utile a semplificare per cogliere
l’essenza delle due posizioni in gioco: entrambi gli attori sono
d’accordo sull’orizzonte cui tendere che è quello descritto
dalle parole della canzone Immagine di John Lennon, ma la maggioranza
dell’associazionismo rom imputa agli “universalisti non rom/non
sinti” di voler gestire il microfono e di non permettere a molti
sinti e rom di prendere la parola direttamente.
Sono stati giorni di riflessione
personale intensa, perché di fatto la storia che ho ricostruito a
livello europeo testimonia la pericolosità di schiacciare un’intera
comunità sul forte riconoscimento etnico, perché quest’approccio
scatena l’attività rieducativa che la maggioranza ha da sempre
diretto sulla minoranza rom e sinti.
Penso si debba però riflettere anche
su questa spinta all’universalismo portata fino all’estrema
conseguenza di negare di trattare di “esclusione dei rom e sinti”
derubricandola in “esclusione dei popoli delle baraccopoli”,
perché percorrendo questa strada certamente si risolve il pericolo
dell’etnicizzazione, ma contemporaneamente si nega che esista una
componente rom e sinti attiva e che chiede riconoscimento a partire
proprio dal proprio riconoscersi in comunità rom/sinti; si corre in
effetti il rischio di negare riconoscimento alle persone di cui
stiamo parlando (o con cui stiamo dialogando) indicando loro, ancora
una volta, come devono o non devono percepirsi, come devono o non
devono chiamarsi.
Ci sono più livelli di questa
riflessione, perché se facilmente si può decidere di negare
l’utilizzo del termine (e del contesto) “zingari” trattandosi
di un’etichetta coniata con disprezzo dalla maggioranza, negare che
esista l’esclusione rom o la realtà rom (attraverso la sua
sostituzione con differente etichetta più generalista) significa
negare ciò che le comunità rom e sinti stanno oggi affermando con
forza, cioè il proprio riconoscimento di soggetti vivi ed attivi che
proprio al contesto “rom/sinti” fa riferimento.
L’eccesso di universalismo in questo
momento storico (seppur meta ideale cui tendere) rischia di negare e
quindi di non riconoscere secoli di antiziganismo che non è stata
politica di esclusione contro popoli oppressi in generale, ma
specificamente contro rom e sinti, come pure il “campo nomadi”
non è solo una baraccopoli ma un luogo fortemente connotato e
costruito sulla base del razzismo verso i rom (il campo nomadi è
stato costruito con un forte riferimento allo zingaro nomade).
Le parole del sindaco della città del
centro-Italia ci ricordano che se spingo all’estremo
l’universalismo, alla fine nego che in alcuni casi ci sia bisogno
di un intervento specifico (articolo 3 della Costituzione) che sia
rivolto a rom e sinti se voglio garantire un compromesso
raggiungibile, perché l’emarginazione del campo nomadi è stata
creata sulla base dello stereotipo dello zingaro e tirare una riga
nel presente e non considerarla nella sua profondità storica rischia
di annullare lo strumento di riconoscimento che le comunità stavano
costruendo; di fatto, perché mai l’edilizia pubblica non dovrebbe
davvero poter creare palazzi, ma allo stesso modo spendere soldi
pubblici anche per qualche microarea (da leggere anche come soluzione
di passaggio che forse porterà successivamente alla casa), se queste
soluzioni garantissero la vita dignitosa fuori dai campi nomadi?
Ed un convinto universalista, che
risposta offrirebbe al sindaco, perché possa intervenire in modo
positivo nel presente senza innalzare il conflitto con le comunità e
rischiare di chiudere ogni mediazione appena nata e che trova nella
questione abitativa un fulcro importante? Bisogna essere molto
attenti su questo elemento, perché a forza di rincorrere
l’universalismo estremo, quest’ultimo finisce per somigliare alla
pratica rieducativa imposta dall’esterno.
Resta un dato che credo sia centrale,
quello di rincorrere l’universalismo solo dopo aver garantito e
favorito la partecipazione in stretto collegamento con le comunità
che oggi sono dentro a questo percorso (al di là dei differenti
punti di vista). È questo il vero elemento irrinunciabile intorno a
cui ritrovarsi, per non far puzzare le nostre politiche di
paternalismo, altrimenti l’universalismo estremo diventa
rieducazione coatta e l’etnicismo duro e puro rischia di sollevare
muri che rende tutti più deboli perché divisi. di Luca Bravi
Nessun commento:
Posta un commento