Io e V.F. abbiamo molto in comune: più
di ottant’anni, da sempre cittadini gallaratesi con ricordi
infantili che risalgono alla Gallarate dei giorni della liberazione,
una mezza dozzina di figli a testa e molti nipoti. Siamo,
inadeguatamente ai tempi, d’indole patriarcale e fino a un mese fa
le nostre famiglie ci vivevano attorno: l’unico mio figlio non
residente a Gallarate abita con la famiglia a Jerago e l’unico mio
figlio che non lavora in città fa il veterinario a Cavaria.
Per me è così anche oggi, ma non più
per le famiglie patriarcali di V.F. e della comunità di Sinti, da
anni sistemate in un campo perso in periferia lungo l’autostrada.
Le poche abitazioni, roulotte e case mobili, sono state sgomberate
d’imperio per una decisione irrevocabile dell’autorità comunale
che alla fine è riuscita a mettere in azione anche lo strumento
principe della legalità nei grami tempi che corrono: la Ruspa!
V.F. e altre cinquantotto persone della
sua pacifica comunità sinta, fra cui una trentina di minori, sono
adesso in albergo, ma alla fine del mese la sua famiglia sarà
smembrata e si disperderà chissà dove. Già, la legalità: bollette
non pagate, qualche metro di sconfinamento nel prato circostante…
Di questi tempi, tali delitti meritano la deportazione e la
dispersione di una piccola comunità, tanto più se di etnia
sospetta.
Caro V., a te, che conservi nel tuo
italiano antiche e nobili parole di diretta derivazione indeuropea,
esprimo tutta la mia solidarietà per quanto ti sta capitando, alla
nostra età, ma per rispetto dell’autorità comunale in carica non
ti richiamerò alla mente l’articolo 7 della mia e della tua
Costituzione: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
linguistiche”. Peraltro la Costituzione è decisamente superata:
non nomina mai la Ruspa. di Francesco Aspesi, VareseNews
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