mercoledì 22 aprile 2009

Potevo vincere il Grande Fratello

È imbarazzante, può apparire ridicolo. Ma è la pura verità. Come, sono certa, dimostrerà la storia che sto per raccontare. Una storia complicata. Ma quel che mi imbarazza - e che può apparire ridicolo - si riassume in cinque parole: potevo vincere il Grande Fratello. Ma andiamo con ordine. Nel settembre scorso alla federazione Rom e Sinti Insieme giunse la voce che il Grande Fratello era alla caccia di un Rom che avrebbe dovuto partecipare al programma, dopo una riflessione comune si giunse alla conclusione che qualcuno di noi avrebbe dovuto «sacrificarsi» e provarci con il mandato: vai a difendere il tuo popolo, a dare un esempio positivo di come anche i rom sono capaci di studiare, persino laurearsi e a raccontare qualcosa su quello che significa essere Rom, sulla storia, sulla cultura per abbattere i pregiudizi e cercare di scalfire l’odio che ci circonda. Quando ho accettato ho pensato subito alle file infinite nei centri commerciali e ai fiumi di ragazzi e ragazze in attesa di fare il loro provino. Ma non fu così: fui invece contattata direttamente, fissai un appuntamento e scavalcando tutte le file andai a fare il provino. In un ambiente accogliente e gentile, prima mi hanno fatto un’intervista video, nella quale dissi che la ragione per cui avevo accettato il provino era avere un’occasione importante e soprattutto rivolta a un grande pubblico di giovani di parlare del mio popolo e contribuire a combattere la discriminazione nei nostri confronti e il razzismo in Italia. Poi mi hanno fatto delle domande sulla mia famiglia, ma non ho potuto dire tanto se non che vengo da una famiglia normale: nessun trauma, nessun campo, nessun disastro. Mi hanno chiesto della mia vita personale se sono sposata, divorziata, poi dovevo dare dati personali del mio compagno e alla fine mi hanno fatto compilare un questionario tipo test attitudinale. C’era anche Graziano. L’altro rom che si era dichiarato disponibile era Graziano Halilovic, attivista rom, cresciuto in un campo, istruito, giovane e completamente integrato ma con orgoglio della propria storia e identità. Devo dire con sincerità che ho provato sollievo quando non li ho più sentiti e quando ho poi saputo che comunque era stato scelto un ragazzo rom, Ferdi.

Sarei stata contenta se non fosse per il fatto che Ferdi portava con sé una storia «zingara». I critici televisivi ci spiegano che nei reality è arrivata l’ora del «sociale». Largo quindi ai diversi, agli svantaggiati, alle storie commoventi che imperversano su tutti i canali. Così anche al Grande Fratello arrivano gli sfigati e in questo Paese chi è più sfigato di un rom? Ferdi, un rom montenegrino giovane e carino con una storia personale veramente pesante: genitori cattivi, fuga prima a piedi per le montagne del Montenegro e dell’Albania, poi in gommone verso il paese del bengodi, l’Italia, in giro per i campi rom, il padre ubriaco e violento, il suo salvataggio da parte delle forze dell’ordine, il ricovero in un istituto e il riscatto di un lavoro. Ferdi era perfetto se si voleva rappresentare il caso umano e pietoso e nello stesso tempo non rompere i tabù dei luoghi comuni e del pregiudizio. Lui, il bambino vittima ma riscattato, diventato un buon cittadino italiano, i suoi genitori, i rom rappresentano invece faccia cattiva del popolo rom, quella dell’immaginario collettivo, della propaganda leghista, per la quale tutti rom sono ladri, sfruttatori dei figli e ladri dei bambini altrui. I rom che a Roma hanno festeggiato la sua vittoria hanno colto giustamente il lato che a loro interessa di più. Graziano Halilovic ha dichiarato che «per questi ragazzi Ferdi è diventato un modello positivo; per la prima volta in televisione hanno sentito parlare di un rom senza vedere il suo volto associato ad episodi di cronaca nera. Al di là dell´opinione che si può avere sui reality-show la partecipazione di un rom ad una trasmissione televisiva è sentita dagli abitanti dei campi nomadi di Roma come un motivo di orgoglio e di integrazione». Graziano ha ragione, dobbiamo dimostrare che anche uno di noi può integrarsi nella società italiana. E cosa rappresenta di più l’integrazione se non entrare in un reality e addirittura vincerlo? Ora per quanto riguarda Ferdi, è evidente che su di lui si posano tante speranze di un popolo che subisce violenze e umiliazioni quotidiane. Quello che io mi sento di chiedergli è di avere un po’ di orgoglio per la sua identità «zingara», di avere voglia di ritrovare il suo popolo, il giudizio sul quale va al di là della sua drammatica storia personale. Infine, da parte mia lo invito a visitare, se vuole con me, quei reality orrendi che sono oggi i «campi nomadi» in cui le telecamere sorvegliano uomini, donne, bambini notte e giorno e le regole del gioco sono: presidi di polizia e di vigilanza privata, alle dieci di sera per ordine dei Prefetti coprifuoco, permanenza provvisoria e così via. Un gioco nel quale le regole sono per cittadini di serie C e per chi non le accetta c’è l’eliminazione vera, facile, gratuita. di Dijana Pavlovic

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