venerdì 20 luglio 2007

Un habitat possibile per Sinti e Rom Italiani

In Italia moltissime famiglie Rom e Sinte (in prevalenza: Sinti Piemontesi, Estrekarjia, Lombardi, Veneti, Teich, Gackane, Emiliani e Marchigiani; Rom Harvati, Lovara e Abruzzesi) hanno superanto le logiche segreganti, discriminanti e assistenziali proprie dei cosiddetti “campi nomadi”, acquistando dei piccoli appezzamenti terreni agricoli, dove vivono con le proprie abitazioni: le roulotte e le case mobili.
Questa tendenza inizia negli anni Ottanta ed esplode in un decennio. Centinaia di famiglie, con enormi sacrifici economici, acquistano terreni agricoli di circa 1000 mq. In particolare questa tipologia abitativa è propria dei Sinti Italiani, il più numeroso tra tutti i gruppi presenti in Italia di cui è stimata una presenza di circa 30/40.000 persone.
Il vivere in roulotte è dettato da due principali motivazioni:
1. l’attività lavorativa, che per i Sinti Italiani è sempre stata quella dello spettacolo viaggiante (circhi, giostre, attrazioni varie),
2. la coesione familiare, data da una serie di valori e norme che impongono una forte solidarietà all’interno della famiglia allargata e che implicano in alcuni casi lo spostamento anche per periodi medio - lunghi (es. in caso di bisogno di un componente della famiglia allargata che abita in altra località).
Inoltre, da alcuni anni si è costituita la Missione Evangelica Sinta che raduna migliaia di Sinti Italiani in convegni religiosi, nel periodo compreso tra la fine e l’inizio dell’anno scolastico. Centinaia di famiglie che si spostano con le proprie abitazioni da una città all’altra portando il messaggio evangelico.
Poche sono le famiglie, appartenenti a questi gruppi, che nelle regioni dell’Italia del Nord vivono in appartamento perché tale tipologia abitativa renderebbe impossibile l’accoglienza delle famiglie dei figli e dei parenti più prossimi in caso di bisogno.
Il piccolo terreno è in definitiva la risposta che le Minoranze Italiane Sinte e Rom hanno dato alla logica del “campo nomadi”, sempre più vissuto come “ghetto” o “riserva indiana”. Nato all’inizio degli anni Settanta, il “campo nomadi” ha fallito essenzialmente il suo obiettivo di offrire un habitat dignitoso per queste famiglie.
Sovraffollati, nascosti ai margini delle città, in condizioni igienico sanitarie penose e con alti costi di gestione per le Amministrazioni Comunali hanno creato e creano più problemi che benefici.
Questa situazione è così marcata che la Regione Emilia Romagna ha nei fatti modificato la propria Legge Regionale, a tutela di Rom e Sinti, non volendo più finanziare le realizzazioni di “campi nomadi” e supportando attivamente la politica dei piccoli terreni privati o di piccole aree attrezzate per famiglie allargate, formate da una decina di nuclei familiari, dando la possibilità di costruire.
Inoltre, è da sottolineare che il Comitato Europeo per i Diritti Sociali, organismo del Consiglio d’Europa, ha condannato formalmente l’Italia sulla politica abitativa dei cosiddetti “campi nomadi”, identificando tre distinte violazioni della Carta Sociale Europea Revisionata, sottoscritta dal nostro Paese.
Nella sentenza resa pubblica il 24 Aprile 2006, i CEDS ha decretato che le politiche abitative sviluppate per Rom e Sinti in Italia puntano a separare questi gruppi dal resto della società italiana e a tenerli artificialmente esclusi. Bloccano qualsiasi possibilità di interazione e condannano i Rom e i Sinti a subire il peso della segregazione su base razziale. Il Reclamo Collettivo dell’ERRC paventava presunte violazioni dell’articolo 31 della Carta Sociale Europea, indipendentemente o letto congiuntamente al principio di non discriminazione previsto dall’articolo E.
Chiamato a rispondere sul Reclamo Collettivo presentato dall’ERRC, il CEDS, dopo aver esaminato la difesa del Governo Italiano ha deciso:
1. unanimemente che l’inadeguatezza dei campi sosta per Rom e Sinti costituisce una violazione dell’articolo 31(1) della Carta, letto congiuntamente all’articolo E
2. unanimemente che gli sgomberi forzati e le altre sanzioni ad essi associati costituiscono una violazione dell’articolo 31(2) letto congiuntamente all’articolo E
3. unanimemente che la mancanza di soluzioni abitative stabili per Rom e Sinti costituisce una violazione dell’articolo 31(1) e dell’articolo 31(3) della Carta, letti congiuntamente all’articolo E.
Tale condanna dovrebbe far riflettere perché l’Italia è l’unico Paese europeo che “concentrato” le popolazioni sinte e rom in luoghi definiti e in alcuni casi sorvegliati, così come avveniva in Europa durante il periodo nazi-fascista. Infatti, il nostro Paese è oggi identificato in Europa come “il paese dei campi”.
Perché, dagli anni ’80, migliaia di famiglie Rom e Sinte acquistano un terreno agricolo? Per quattro semplici ragioni:
1. il cosiddetto “campo nomadi” è un ghetto;
2. la legge permetteva ad una roulotte di poter sostare in un terreno agricolo;
3. è poco oneroso a livello finanziario, pochissime sono le famiglie che possono permettersi l’acquisto di una casa o di un terreno edificabile;
4. è più facile iniziare un percorso d’interazione, uscendo da dinamiche assistenziali, senza dover perdere le proprie specificità culturali.
Oggi questa tipologia abitativa rischia è entrata in crisi a causa della nuova legislazione in materia di edilizia. Il Testo Unico n. 380/2001, in materia di edilizia, decreta in maniera inequivocabile che una roulotte abbisogna di concessione edilizia (articolo 3/e/5). Prima dell’introduzione di questa norma la concessione edilizia era necessaria solo per quei manufatti che, ancorati in modo permanente al suolo, modificavano l’assetto del territorio.
In Italia il legislatore, dal 1942, si era preoccupato in modo esclusivo di quei manufatti fissati al terreno, cercando di arginare il fenomeno “selvaggio” dell’abusivismo edilizio. Anche la Legge n. 47 del 1985 non riconosceva alla roulotte la configurabilità di abuso edilizio.
E’ nel luglio 2000 che la roulotte è indicata come possibile abuso edilizio. La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con sentenza n. 12128/2000 indica per la prima volta la roulotte ad uso abitativo come abuso edilizio.
La roulotte costituisce abuso edilizio nel caso abbia solo la parvenza di mobilità -in quanto il prefabbricato è invece stabilmente incardinato al suolo con accorgimenti tecnici per garantirne la stabilità- in modo tale che è da considerarsi una vera costruzione che modifica -sia pure lievemente, ma durevolmente - l'assetto del territorio.
Questa nuova interpretazione della Legge non è costante e comunque a sua volta interpretabile, ne è da esempio il Tribunale di Mantova che nel novembre del 2001 non sanziona una famiglia di Sinti Italiani che sul proprio terreno vive con delle roulotte e con una casa mobile, non ancorata al terreno.
Con la nuova Legge non vi sono più dubbi o ambiguità: la roulotte è da considerarsi a tutti gli effetti un abuso edilizio e quindi abbisogna di concessione edilizia.
Questa situazione mette realmente in crisi migliaia di famiglie che attualmente vivono, con le roulotte, in terreni agricoli di proprietà. Ma non solo, in prospettiva il problema investirà le Amministrazioni Comunali che dovranno affrontare il problema abitativo di queste famiglie.
Quali risposte potranno dare le Amministrazioni Comunali:
1. ignorare la Legge – dovendo sgombrare la famiglia residente dal proprio terreno agricolo per l’abuso edilizio dato dalle roulotte, il Sindaco del Comune deve poter offrire un’alternativa abitativa e questo è estremamente difficile da attuare;
2. sanare l’abuso edilizio – una strada difficile da percorrere uniformemente su tutto il territorio nazionale perché non è presente una normativa al riguardo ma diverse Amministrazioni Comunali si sono già attivate singolarmente;
3. scaricare il problema – mettere in atto comportamenti per costringere la famiglia a entrare nel “campo nomadi” più vicino.
Il rischio evidente è il ritorno al “campo nomadi”. Questa prospettiva metterà in crisi, ancora più dell’esistente, soprattutto i Comuni capoluogo di provincia che verranno loro malgrado investiti dal problema. Difficilmente una piccola Amministrazione Comunale può strutturare un “campo nomadi”, è quindi evidente che si andranno a sovraffollare ulteriormente quelli esistenti, appunto nei Comuni capoluogo di provincia.
In un momento storico dove lentamente si supera il concetto ghettizzante del “campo nomadi” e dove le famiglie vedono riconosciuta la propria cultura, soprattutto attraverso i processi di mediazione culturale, questa nuova Legge ci porterà indietro di trent’anni.
Naturalmente il legislatore ha pensato, a ragione, di arginare gli attacchi alle zone paesaggistiche, quali le nostre spiagge; non si è però accorto di mettere in crisi una piccola minoranza etnica, che negli ultimi vent’anni ha costruito il proprio futuro proprio sui terreni agricoli.
Gli obbiettivi che ci poniamo sono essenzialmente due:
1. sanare le situazioni esistenti,
2. creare le condizioni perché questa tipologia abitativa possa essere estesa, in modo tale da uscire dalle logiche assistenziali del “campo nomadi”.
La nostra proposta è quella di inserire una modifica al Testo Unico 380/2001 e alle conseguenti Leggi Regionali, in modo tale che ogni Comune debba comprendere nel proprio piano regolatore (la dicitura cambia da Regione a Regione) la possibilità di rendere fattibile l’insediamento su terreni, acquistati con proprie risorse, delle famiglie sinte e rom almeno per lo 0,5 per mille (dato da verificare in tutta l’Italia) delle aree agricole su un dato territorio.
Ciò permetterà una sanatoria a tutte le situazioni preesistenti e la possibilità futura per altri insediamenti. Si consideri infatti che questa modalità abitativa è stata la risposta delle Minoranze Rom e Sinte ai processi di segregazione e di assistenzialismo propri dei cosiddetti “campi nomadi”.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Vista l'indicazione dell'unico articolo inerente(l'altro era una indicazione farlocca, vero sig. berini) trovo prima di tutto ridicolo che sia riuscito a trovare un singolo articolo scritto ben 5 anni fa.
Partiamo col dire che evidentemente non avete MAI scritto dei casi ISOLATI ma RIPETUTI di abuso.
Poniamo ora una semplice domanda, nei terreni agricoli dove grazie a voluta discriminazione nei confronti della popolazione e dei contadini solo alcuni potevano sostare mi spiegate una semplice cosa?
Visto che per vostra stessa ammissione non vivono poche persone ma molte di + e che spesso il numero aumenta di parecchie unità, come veniva gestito il problema ACQUA?
Dove veniva gettata l'ACQUA con cui ci si lavava, con cui si lavano i vestiti, con cui si cucinava e si lavavano le stoviglie?
Ma sopratutto... come venivano gestite le ACQUE NERE???????????????
Altra domandina semplice , dove sostavano le auto di proprietà di queste persone che non restavano li per poche ore ma anni??????
Attendo risposta dal Sig. Berini così attento al rispetto delle regole e della dignità!

Carlo Berini ha detto...

In questo post sono spiegate seriamente le ragioni che hanno portato molte famiglie sinte e rom a preferire, nel rispetto della legge, un proprio percorso abitativo autonomo rispetto alle logiche ghettizzanti e assistenziali proprie dei cosidetti "campi nomadi".

Questi terreni sono tutti dotati di allaccio all'acqua pubblica (pagando le relative bollette) o provvisti di pozzo, realizzato secondo quanto prescritto dalle normative provinciali e pagato di tasca propria dalle famiglie proprietarie.

Così come sono dotati di pozzetti sgrassatori per le acque grige e vasche imof + vasca biologica per la acque nere, sempre pagati di tasca propria dalle stesse famiglie.

Come spiegato nel post la legge fino alla sanatoria (tombale in alcune regioni, vedi Sardegna) del novembre / dicembre 2004, permetteva che su un terreno agricolo si potesse posizionare delle strutture mobili, come roulotte, case mobili, carovane...

E' con la nuova legge (testo unico 380) che improvvisamente queste abitazioni sono diventate sanzionabili, senza possibilità di sanare o trovare soluzioni alternative.

E comunque non si preoccupi chi i soldi li aveva non si è comprato il terreno agricolo ma il terreno edificabile, come ad esempio Moira Orfei che comunque sul suo terreno vive ancora in carovana.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per le risposte.
Trovo singolare che mentre io non posso costruire neppure un capanno per gli attrezzi o che non posso parcheggiare un veicolo(in quanto potrebbe perdere liquidi inquinanti) su un terreno agricolo ci siano "allargamenti" fino a questo punto.
Ma so bene che in italia non sempre siamo tutti uguali.

Carlo Berini ha detto...

Un conto è inquinare... e un conto è un capanno degli attrezzi che fino al 2004 poteva costruire, non lo può più fare con l'entrata in vigore del testo unico 380 + la modifica del titolo v della costituzione che ha delegato alle regioni il potere statale sull'urbanistica. quindi di fatto fanno poi fede le leggi regionali che sono diverse...

Anonimo ha detto...

Guardi, personalmente ho avuto la diffida dal mettere insieme 4 assi di legno per lasciare 4 attrezzi al campo.
Regione Lombardia, però, come le dicevo in Italia non siamo trattati sempre alla stessa maniera.
Ogni "controllore" agisce in maniera differente, ogni comune da indicazioni differenti e così via.
Sulla questione veicoli, non viene consentita la sosta prolungata su terreni agricoli perchè potendo avere delle perdite possono causare alla falda, per evitare ciò bisognerebbe fare trattamenti non realizzabili su un terreno agricolo.
buona giornata