«Fuori gli zingari dalle città», «fuori gli stranieri dalle nostre terre». Non sono solo slogan scritti sui muri delle città della Padania, o sintetici titoli di giornali che riferiscono delle proteste di cittadini italiani, stanchi di avere a che fare con tanti «diversi».
Sono purtroppo indicazioni di tipo politico che attraversano vari schieramenti, e che se raggiungono l’apice nei partiti «imprenditori politici» del razzismo, attraversano anche altri soggetti. Sono i sindaci di diversi schieramenti a farsi portavoce di questa linea.
E se quelli alla Gentilini si muovono con coerenza rispetto a ciò che hanno sempre detto e fatto, quelli delle giunte di centrosinistra sembrano attualmente muoversi sotto l’influsso degli esiti delle elezioni amministrative della scorsa primavera, quasi che soltanto attraverso una brusca virata di tipo securitario si possano mantenere o conquistare i consensi degli elettori.
Dunque, “via gli zingari”, basta con gli stranieri”. Forse, però, chi fa politica dovrebbe misurarsi con alcuni dati di fatto. A cominciare dalla circostanza che quasi la metà dei Rom e dei Sinti sono cittadini italiani, dunque titolari di tutti i diritti - compresi quelli alla casa e all’istruzione per i figli - degli altri cittadini.
Per proseguire con il rilievo che, dopo l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione europea, la stragrande maggioranza dei Rom e dei Sinti sono cittadini europei, esattamente come francesi, tedeschi, spagnoli. Dunque, «via»: ma dove? «Fuori», ma da dove?
Il problema, grande come una casa ma che politici responsabili dovrebbero affrontare con spirito umanitario e democratico, si può sintetizzare in una sola frase. Rom e Sinti costituiscono oggi la più grande minoranza etnica d’Europa: e gli Stati europei, se vogliono continuare a definirsi democratici, devono necessariamente muoversi secondo logiche di inclusione sociale e di riconoscimento, non solo a parole, dei diritti. di Giovanni Palombarini, continua a leggere…
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