Padre Agostino Rota Martir ha inviato dal campo Rom di Coltano, in cui vive da diversi anni, questa sua lettera aperta a Massimo Toschi, Assessore alla pace, alla cultura e al perdono della Regione Toscana, che pone numerosi interrogativi non solo all’assessore ma anche a diverse associazioni attive nel campo della solidarietà, riprendendo una discussione già avviata da tempo da Nazzareno Guarnieri. Volentieri pubblichiamo la lettera di Padre Agostino e daremo spazio alle risposte degli interessati.
Carissimo Massimo Toschi,
affido a questa lettera, scritta anche sotto la pressione di tante emozioni che si accavallano confusamente e con rapidità, alcune mie riflessioni sugli ultimi fatti che vedono coinvolta la Toscana, ma non solo. Sono in imbarazzo a scriverti queste mie note, perché una parte della mia vita si è intrecciata con la tua, non solo per il cammino della mia Congregazione, i Missionari Saveriani che pubblicano la rivista Missione Oggi che spesso riporta le tue riflessioni, i tuoi scritti che ho sempre trovato puntuali, stimolanti e profetici: tutto questo ha contribuito non poco alla mia formazione umana e religiosa. Allora non avevi alcun incarico nella Regione Toscana. Ora mi trovo nella situazione imbarazzante nell’esprimere la mia ferma delusione e amarezza per alcune tue posizioni e quelle della Regione che rappresenti.
Rifugi sotto i ponti. Il 15 agosto scorso ti abbiamo accompagnato a conoscere la sorella sopravvissuta alla tragedia di Livorno, a cui volevi portare le condoglianze per la morte dei fratellini. Sotto quel ponte sull’Arno di Pisa vive un gruppo di Rom: hai visto in quali condizioni, sei rimasto scioccato a quella vista, ti sei chiesto come è possibile che ciò possa avvenire dentro le nostre città. Eri lì per portare le condoglianze della Regione, forse perché avevi notato che la cittadinanza di Livorno si era arroccata in se stessa, lesta a puntare il dito e formulare superficialmente le solite e comode condanne e incapace di mostrare dei sentimenti di profonda umanità.
Mi sarei aspettato da te un pronunciamento anche in questa direzione, cosa che non ho letto sui giornali. Anzi mi sei sembrato abbastanza attento a non “turbare” i palazzi del potere di Livorno, in modo particolare nel coprire i tentennamenti ambigui e latitanti del suo sindaco, o una giustizia che mi sembra applichi più una “tortura psicologica” a danno dei genitori Rom in carcere, che il desiderio di far luce sull’intera vicenda: una giustizia attenta a coprire le colpe della città e a mettere in luce esclusivamente le “colpe” dei Rom: dopo 3 settimane ancora i funerali non sono stati celebrati, quasi dimenticati e anche la pietà è calpestata, espulsa, derisa. E’ un fatto grave che dovrebbe scuotere le coscienze di tutti, delle Chiese in modo particolare, e trovare insieme la forza di indignarci, invece sembra che lo abbiamo accettato, come fosse una cosa normale... tanto sono “zingari”!
Mi sono chiesto, allora, dove era andato a finire quel coraggio che ammiravo in te quando non avevi ancora assunto l’incarico in Regione? Parli della necessità di coniugare solidarietà e legalità, insomma il classico “colpo alla botte e uno al cerchio”, ma poi si finisce sempre con il colpire prevalentemente non il sistema (la botte), ma le sue vittime, non un colpo ma cento! Infatti, la prova del “cerchio” non si è fatta aspettare a lungo, purtroppo.
Chissà perché si è subito pronti a colpire i più deboli, anche quando sono vittime del nostro sistema. A Livorno i Rom sono vittime di una tragedia o di un attentato, e puniti con il carcere (anche per renderli invisibili): è una assurdità che non ti scandalizza, invece di gridare l’ingiustizia ti scandalizza, invece di gridare l’ingiustizia ti accontenti di sussurrare parole di condoglianze. Poi, solo qualche giorno fa ecco spuntare l’ordinanza di Firenze che colpisce i lavavetri ai semafori della città con lo scopo di farli sparire dalla città.
Semafori. Si sa che i semafori, per loro natura devono essere ben più visibili dei rifugi, soprattutto quelli nascosti sotto i ponti delle città. I semafori appartengono alla cittadinanza, quella “civile e onesta, quella buona”, non ai Rom, agli esuberi, agli scarti anche se per la maggioranza di costoro rappresentano forse l’unica sussistenza. E’ forse colpa loro se vengono scaricati dalle Amministrazioni, da quelle Associazioni sempre pronte a fiutare i finanziamenti, ad occupare spazi in nuovi progetti così gli unici spazi liberi da vincoli soffocanti e pericolosi sono proprio i semafori e i ponti. Questi, gli esuberi li lasciamo vivere, a condizione di rimanere nascosti, sotto i ponti appunto, guai se raggiungono i semafori, perchè la loro visibilità diventa una minaccia alla sicurezza cittadina, disturbano, diventano insistenti e aggressivi, vittime di racket (così vengono descritti ). Nascosti sotto i ponti, la loro esistenza non turba, viene tollerata ma guai se cercano la propria sussistenza presso l’unico “strumento” capace di fermare per qualche istante le nostre città impazzite: perché non sequestrare anche il semaforo allora, insieme ai loro attrezzi di lavoro?
Caro Massimo, ricordi quel gruppo di Rom Rumeni sotto il ponte dell’Arno al CEP di Pisa? Ebbene hanno un semaforo proprio sopra la loro testa e sono quasi certo che per loro è l’unico sostentamento possibile per ora: ti chiedo a cosa è servito aver portato a loro la solidarietà della Regione se poi la stessa arriva a vietargli di vivere lavando i vetri delle auto o a chiedere qualche spicciolo di elemosina? Mi chiedo, dopo aver letto una tua intervista sul Tirreno come potevi difendere questo provvedimento e accostarlo a quello della solidarietà. Non noti l’ambiguità di certi nostri accostamenti? Coniugare legalità e solidarietà…si ripete in ogni luogo, spesso anche la Chiesa accetta questa logica ricattatoria e quindi pagana.
Cosa intendiamo per solidarietà? A chi l’affidiamo? Oggi i Rom in particolare sono “appaltati” dalle Amministrazioni: Arci, Cooperative, Caritas, Misericordia, Città sottili (è il caso di Pisa), Volontariati, Fondazione Michelacci tutti fanno a gara per accaparrarsi delle fette dei progetti che prosciugano la quasi la totalità dei fondi, per che cosa? Per solidarietà, per avere finanziamenti, o per una propria visibilità sociale? Il risultato è sotto i nostri occhi: usiamo la “mano pesante” (sgomberi continui, ordinanze, nuove esclusioni…) per salvare i nostri “progetti di solidarietà”, così si creano dei nuovi esclusi, nuove categorie di Rom: Rom nel Progetto e Rom Fuori Progetto!
In America Latina c’è un detto che conoscerai e che dice: “Mettersi in corpo gli occhi dei poveri” , che è poi simile a quello più famoso del fiorentino don Milani: “Far strada ai poveri senza farsi strada” . Ne è passata di acqua sotto i ponti dell’Arno da quando il Priore di Barbiana la pronunciò per la prima volta, ma la profezia è ancora lì, spesso inascoltata, anche ai piedi di un semaforo cittadino, o sotto qualche ponte o cavalcavia.
Scusami la schiettezza e lo sfogo, p. Agostino Rota Martir (Missionario saveriano), Campo Rom di Coltano (PI), 30 Agosto 2007
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