Pubblichiamo l’articolo di Giovanna Zincone uscito ieri su La Stampa. Non condividiamo alcune affermazioni sull’attuale situazione sulle e nelle comunità rom e sinte in Italia ne condividiamo il concetto di “integrazione” che contrapponiamo con il concetto di “interazione”. Crediamo comunque che nel panorama nazionale questo intervento meriti di essere discusso perché esce dalla logica razzista e qualunquista che attraversa la maggior parte degli interventi sia giornalistici che politici. Ringraziamo Flora di AfroItaliani per la segnalazione.
I romeni ovviamente non sono tutti “zingari” rom e i rom notoriamente non sono tutti romeni. Comunque, la questione dei rom, in particolare se di provenienza romena, scatta spesso al centro del dibattito pubblico. I rom sono alternativamente descritti come parassiti e delinquenti o fragili emarginati. La realtà è più sfumata: ci presenta una minoranza con grossi problemi di integrazione sociale e culturale. I rom sono intrappolati in una cultura caratterizzata non solo da tratti «simpatici», come il rifiuto di lasciarsi stritolare dal lavoro e il gusto per una vita meno costretta nel tempo e nello spazio, ma anche da aspetti spinosi e inquietanti.
È una cultura estranea, vista con diffidenza. Il deperimento di tradizionali fonti di sostentamento della popolazione “zingara” ha aumentato rischi e sospetti. In un’economia che non ripara e non ricicla, gli zingari non possono fare gli arrotini o aggiustare pentole. In un’epoca di grandi parchi giochi e domestici videogiochi, anche il mestiere di giostraio diventa sempre meno redditizio e più «inquinato» da attività parallele. La cultura di una vita «liberata dai vincoli del tempo di lavoro» cozza con il nostro modo di consumare e produrre. Il loro è un costume di vita sempre più difficile da praticare, costretto a trasformarsi.
Molti dei cosiddetti “nomadi” hanno accettato da tempo la costrizione dello spazio: sono diventati stanziali. I campi sono luoghi in cui si vive per lo più stabilmente. Non si tratta però di camping a 5 stelle. Quelli irregolari sono terribili: ho visto bambini con i piedi nudi nel fango in pieno inverno. Quelli ufficiali, dipende, possono anche produrre un effetto di gaiezza, ma anche lì sono frequenti e gravi le deficienze nei servizi.
Molti rom e altre categorie di «pseudonomadi» sono stanziali e cittadini italiani: si stima che lo siano più della metà. Altri sono stranieri, che però vivono qui da generazioni, magari senza permesso di soggiorno. Gli stranieri sono aumentati. In particolare, subito dopo la caduta del regime di Ceausescu e ora con l’ingresso nell’Unione, sono aumentati i rom romeni. Erano persone abituate a vivere in abitazioni periferiche e svolgere lavori poco redditizi, ma sicuri.
L’economia di mercato li ha messi in crisi e la loro accresciuta povertà ha attratto aggressioni razziste, di qui l’esodo. A seguito delle diverse ondate i rom di origine romena in Italia dovrebbero aggirarsi oggi intorno ai 50 mila, gli “zingari” in generale sarebbero circa 160 mila. Non si tratta di dati, ma di stime. Non esiste un’affidabile rilevazione sulla presenza delle minoranze “zingare” sul territorio nazionale. Non conosciamo l’entità e i caratteri specifici del fenomeno. Tuttavia l’allarme suscitato da nuovi cospicui flussi, seppure anch’essi di entità ignota, i brutti fatti di cronaca, la confusione tra rom e romeni, generano paura e reazioni istantanee.
Ma i problemi connessi alle minoranze “zingare” erano già sul tappeto da un pezzo. Bambini che non vanno a scuola, che ci vanno in modo discontinuo, che non imparano. Accattonaggio imposto a donne e minori, matrimoni precoci, tirannide dei maschi e degli anziani non sono eccezioni. La trappola d’una cultura che disprezza la routine lavorativa, unita alla perdita di occasioni di lavoro compatibili con questo disprezzo, ha favorito non solo l’accattonaggio, che sconfina talora nel borseggio, ma ha invogliato a intensificare pratiche più pesanti come il furto con scasso.
Il problema non si esaurisce qui. Il fastidio per i banali ritmi del lavoro, unito a un rispetto eccessivo per il lusso, ha condotto una certa componente di “zingari” a commettere crimini più gravi: traffico di armi e di droga, sfruttamento della prostituzione, aggressione e sequestro di persona. Né i comportamenti diffusi di fastidioso accattonaggio e microcriminalità, né quelli più circoscritti di grave crimine riguardano tutti i rom.
E però hanno generato un notevole allarme sociale e dato luogo a un circolo vizioso. È difficile per un rom che voglia cambiare strada, magari lasciando il campo, farlo. Perché è difficile trovare un lavoro e un alloggio. Datori di lavoro e proprietari di casa sono sospettosi. Ma c’è di peggio. Chi vuole lasciare il campo o mandare i figli a scuola, a volte, è minacciato dai boss.
Si sono tentate varie strade per contrastare questa situazione: separare i mansueti dai criminali, espellendo o reprimendo questi ultimi. Tuttavia, l’espulsione dei cittadini italiani rom è impossibile e, per quella dei comunitari - come ha osservato il ministro Amato - occorrono modifiche normative. Ai più disponibili sono stati offerti «patti di cittadinanza»: se mandi i bambini a scuola avrai un posto nel nuovo campo che ha dimensioni ridotte ed è ben tenuto.
Sono state sperimentate offerte d’istruzione meno costrittive. Sono state offerte alternative di reddito legali: spazi nei mercati e permessi per la vendita di abiti usati e altro materiale di recupero, che gli “zingari” tradizionalmente raccolgono. Insomma molte soluzioni sono state tentate anche prima dei nuovi arrivi, perché il problema c’era già ed era già grosso. Alcune hanno persino funzionato.
I nuovi arrivi non aprono un problema, complicano un quadro già difficile. Al centro di quel quadro sta un nodo antico e molto duro da sciogliere. Per questa minoranza, ben di più che per la minoranza islamica, il problema non è solo l’integrazione sociale è anche e soprattutto l’integrazione culturale. Il nostro mondo a loro non piace. Dovremmo convincerli che, a comportarsi come noi, non si vive poi troppo male. Non è compito facile. Qualche volta non è facile convincere neanche noi stessi. I secchioni a mille euro al mese, la sparuta squadra di professionisti e top manager esuberanti di soldi e a secco di tempo non suscitano invidia.
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