domenica 11 novembre 2007

Emergenza Rom, Barroso accusa: "L'Italia non ha mai chiesto i fondi"

Il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, è famoso per la sua calma olimpica. Eppure su questa vicenda dell'immigrazione rom e della lettera che gli hanno inviato i premier di Italia e Romania chiedendo alla Commissione di fare di più, la sua irritazione tracima oltre le rotondità del linguaggio diplomatico.

Presidente Barroso, domani lei incontra Prodi a Roma. Che cosa risponderà alla lettera del capo del governo italiano e del rumeno Tariceanu?
"Innanzitutto mi compiaccio della buona cooperazione che, adesso, si è stabilita tra Italia e Romania: questa lettera ne è la prova. Vedo che, ora, hanno anche deciso di avviare una collaborazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie. Per quanto riguarda la Commissione, siamo pronti ad appoggiare gli sforzi degli stati membri. Ma vorrei ricordare che, innanzitutto, c'è una responsabilità nazionale e anche delle regioni e delle autorità locali".

In che senso?
"Sarebbe inconcepibile attendersi che siano le autorità europee a promuovere l'integrazione sul territorio. Questo è soprattutto uno sforzo nazionale, regionale e locale".

E voi?
"Noi abbiamo messo in campo strumenti finanziari e normativi. Il fondo sociale europeo prevede programmi specifici per l'integrazione della comunità rom. In totale abbiamo già stanziato 275 milioni di euro e in più dato sessanta milioni a Bulgaria e Romania per questo obiettivo nella strategia di pre-adesione. Per la Spagna sono stati pagati 52 milioni di euro, per la Polonia 8 milioni e mezzo, per la Repubblica Ceca oltre 4 milioni, per l'Ungheria quasi un milione.

E per l'Italia?
"Per l'Italia, zero. L'Italia non ha mai chiesto di accedere a questi programmi. Certo noi siamo prontissimi a pagare, ma dobbiamo farlo sulla base delle richieste nazionali. Tocca ai governi chiedere i finanziamenti. Noi non possiamo certo imporli".

Passiamo alle direttive.
"Quanto agli strumenti normativi, la legislazione europea, con la direttiva del 2004, stabilisce meccanismi che consentono di agire quando un cittadino di un altro stato membro minaccia l'ordine pubblico, e anche di rimpatriarlo. Infine abbiamo quella che viene definita, con un termine che io non amo, la race directive, la direttiva numero 43 del 2000, che garantisce ai rom il diritto all'assistenza sanitaria, al lavoro, all'alloggio".

Belle parole. Però poi vivono nelle baraccopoli.
"Ma se uno stato membro lasciano che si creino delle favelas, che cosa vuole che faccia la Commissione? Lo ripeto: è una responsabilità nazionale e locale. Del resto noi abbiamo già inviato solleciti di chiarimento sulla mancata applicazione di questa direttiva a quattordici Paesi, tra cui l'Italia. Non possiamo certo negare la cittadinanza europea ai rom. Noi abbiamo disposto tutti gli strumenti per favorire la loro integrazione. Certo, però, bisogna che anche loro si diano da fare per integrarsi. Ma non spetta certo alle istituzioni comunitarie promuovere l'inclusione a livello locale".

Insomma, è tutta colpa nostra se ci troviamo in crisi?
"Guardi io ho piena fiducia nel presidente Prodi e sono assolutamente certo che non farà mai una legge che sia in contrasto con i principi europei".

Però non sembra molto contento della lettera che le ha spedito.
"Sono certo che non era nelle intenzioni di Prodi e di Tariceanu, ma non vorrei che si avesse l'impressione che, ogni volta che c'è una crisi, la colpa è dell'Europa. In questo caso si può fare molto a livello nazionale e a livello locale. Se ci sono dei criminali che passano la frontiera, il minimo che si possa fare è avvisare le autorità del Paese vicino. Ma, anche in materia di cooperazione tra le varie polizie, tocca ai governi occuparsene. Da tempo io mi batto per un approccio comune a questi problemi in Europa. Purtroppo ci sono alcuni stati membri che fanno resistenza".

Quali?
"Per esempio nell'ultimo trattato il Regno Unito si è opposto a una cooperazione più integrata in materia di polizia e giudiziaria. Hanno addirittura ottenuto un opt-out in questo settore. La resistenza alle proposte della Commissione per una piena integrazione delle politiche giudiziarie, di polizia e di immigrazione è molto forte. Eppure questa crisi non ci ha colto di sorpresa. E' da tempo che avvertiamo i leader europei del pericolo che la pressione demografica di certe migrazioni determini reazioni xenofobe e razziste. E' da tempo che diciamo che il fenomeno richiede un approccio comune. Non facciamoci illusioni: in avvenire i flussi migratori in Europa e verso l'Europa aumenteranno. Io lo dico da tempo: è assurdo avere 27 politiche sull'immigrazione in Europa. Dobbiamo avere una politica unica che tenga conto sia dei problemi di migrazione interna sia dei problemi di immigrazione dall'esterno".

Però non ce l'abbiamo? Perché?
"Perché gli stati membri si ricordano che esiste una dimensione comunitaria solo quando scoppia una crisi. In condizioni normali se ne dimenticano volentieri. Per esempio sulla legalizzazione degli immigrati clandestini, e qui non farò nomi perché non sarebbe molto elegante, ci sono stati governi che hanno regolarizzato gli illegali senza consultare e senza neppure avvertire i paesi vicini. Niente impediva a Italia e Romania di stabilire questa cooperazione bilaterale prima che scoppiasse la crisi: era ampiamente prevedibile che questo problema sarebbe esploso".

Per la verità Amato ci aveva provato a chiedere la collaborazione di Bucarest. Ma fino alla crisi non aveva ottenuto molto.
"Appunto. Quello che non posso accettare è l'idea che sia tutta colpa dell'Unione europea. Questo è falso. Ed è pericoloso, perché rischia di mettere in discussione principi che considero fondamentali".

Quali?
"Vorrei ricordarne tre. Il primo, rivolto sia ai governi sia alle opposizioni, è che queste questioni vanno affrontate con grande senso di responsabilità e di misura se non si vuole mettere a rischio la stessa natura democratica dei nostri sistemi. Il secondo principio è di non attribuire mai responsabilità collettive. Fin dai tempi dell'antica Grecia la capacità di distinguere tra responsabilità individuale e responsabilità collettiva è stato uno dei fondamenti della civiltà europea. Se c'è un crimine, non è di un Paese, o di un popolo, o di una famiglia, ma di uno specifico individuo che lo compie.
Il terzo principio è che quanto sta accadendo non è colpa dell'allargamento. Le cifre di cui disponiamo dimostrano che c'è stata più immigrazione rumena in Italia prima dell'adesione di Bucarest che dopo. E l'esperienza dimostra che proprio l'ingresso nella Ue, facendo salire il livello economico dei nuovi paesi, contribuisce a riassorbirne l'emigrazione. L'allargamento, insomma, come Romano Prodi sa bene, non è la causa del problema, ma la soluzione".

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