
La maestra di religione l’aveva scelta al posto della classica sacra rappresentazione con Gesù Bambino, bue e asinello. Soprattutto, per non escludere almeno dalla recita natalizia l’unica bambina che, essendo musulmana, non frequenta le ore di religione: «Niente riferimenti al Vangelo, solo valori universali: pace, solidarietà. Mi sembrava un testo adatto». Ma appena ha cominciato ad insegnare ai bambini quel ritornello su «sinti e gitani» sono cominciati i problemi.
Si sa come funziona. I bambini tornano a casa raccontano quello che hanno fatto in classe e se hanno imparato una nuova canzone la canticchiano ai genitori.
A qualche genitore, però, quel refrain sull’orgoglio rom proprio non è piaciuto. «Maestra, papà ha detto che non devo cantarlo più», riferisce all’insegnante una bambina, seguita a ruota da altre due. Una mini-delegazione, a cui prende parte anche l’alunna di religione musulmana: «Mamma mi ha detto di non cantarla».
A volte i bambini si nascondono dietro i «no» dei genitori. Ma non è questo il caso. «Ha capito bene, non voglio che mia figlia canti che è orgogliosa di essere rom, lei è fiera di essere italiana», ha spiegato alla maestra quel papà, minacciando addirittura denunce, in nome della Costituzione. Mentre la mamma della bambina musulmana è andata via senza fermarsi a spiegare il perché della sua contrarietà.
Risultato: per ora, di fatto, le prove della recita sono sospese per qualche giorno in attesa di ulteriori chiarimenti. «Ci vuole tempo e pazienza per lavorare sui pregiudizi, il muro contro muro è controproducente», ragiona il preside, disposto a cercare una soluzione condivisa, ma intenzionato a difendere la scelta dell’insegnante e quel piccolo inno al popolo rom: «È una canzone carina e mi sembra una buona cosa che i bambini la imparino», spiega Stefano Bossi, da due anni preside del 103° circolo didattico di Roma che riunisce la elementare Pizzetti, in via della Pisana, e la Angelo Celli, in via dei Torriani. Due delle tante scuole dove la multiculturalità è di casa e dove in questi anni hanno studiato i bambini del Residence Bravetta come quelli del “campo nomadi” di Villa Troili. Continua a leggere…
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