Calin Popescu-Tariceanu: «non si può impedire ai romeni di andare in Italia. Ciò accadeva prima della Rivoluzione del 1989 e non avverrà più». È il messaggio rivolto a un popolo scosso, che si sente tradito dall’amico italiano. E che sui giornali sta leggendo: «L’Italia dichiara guerra ai romeni delinquenti» (titolo del quotidiano “Adevarul”, “La verità”). E che teme si interrompa il flusso dei 4 miliardi di euro di rimesse, provenienti dai connazionali all’estero ogni anno e magari sparisca anche solo uno dei preziosissimi 800 mila posti di lavoro creati in Romania dalle imprese italiane.
La crisi c’è, dopo l’ultimo fatto di sangue, e si sente, nonostante gli sforzi della diplomazia e dei governi. Ed è sorretta dai numeri che arrivano dal capo della polizia romena in persona, Gheorghe Papa: «Nei primi sei mesi dell’anno, da quando il Paese ha aderito all’Unione europea, è tornata in Italia la gran parte dei romeni espulsi nel 2006, prima dell’apertura delle frontiere».
Fa impressione la naturalezza con la quale l’ufficio immigrazione della polizia di frontiera snocciola i dati sulla comunità italiana in Romania: 2.769 residenti e 50 reati commessi nell’ultimo anno. Spiccano l’evasione fiscale e la truffa. Ma il meglio del made in Italy in fatto di crimine non sembra essere arrivato in massa nei confini del Paese balcanico. «Gli italiani, tra i popoli degli Stati europei, sono quelli che hanno commesso più reati in Romania». «Nulla di grave», precisa Nelu Pop, capo degli agenti schierati a difesa dei confini, provando a evitare possibili incidenti diplomatici.
Il centro della crisi resta la criminalità romena in Italia, anche se a Bucarest e nel resto del Paese, molti pensano ma solo pochi dicono se non guardandosi circospetti, che «è tutta colpa dei rom». Gli zingari, i corvi, come sono definiti con spregio, i gitani. Per citare tutti i nomi del più facile dei capri espiatori delle frustrazioni romene, che induce i rappresentanti dell’Agenzia nazionale dei rom, rappresentata ai più alti livelli governativi e parlamentari, a dire «siamo vittime di un secondo Olocausto». Continua a leggere…
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