Il pasticcio del "decreto sicurezza" con la norma anti-omofobia rischia, per un errore, di cancellare le norme vigenti sulle discriminazioni razziali, religiose ed etniche, trasformandosi in un colpo di spugna su un centinaio di processi in corso è sotto la lente del Quirinale.
Il Presidente potrebbe non promulgare la legge di conversione se l'errore non verrà corretto. La minaccia si fa sempre più concreta dopo la risposta inviata ieri da Giorgio Napolitano ai capigruppo della Cdl e ai senatori Marcello Pera e Alfredo Mantovano in merito all'«inammissibilità» della norma-antiomofobia.
Di per sé, la risposta di Napolitano era scontata: l'errore è un dato di fatto da giorni e il Capo dello Stato, indipendentemente dalla segnalazione della Cdl, aveva già dato ai suoi uffici tecnici il compito di vigilare e approfondire. Ma per quanto scontate, le parole di Napolitano suonano come un avvertimento al Governo e alla maggioranza. Che da giorni stanno studiando nei minimi dettagli una via d'uscita, per non creare imbarazzo al Quirinale.
Anche perché, in mancanza di promulgazione, il decreto decadrebbe, travolgendo le espulsioni eseguite finora. Un esito che il Governo non può permettersi. Di qui le riunioni susseguitesi ieri, anche durante le pause di lavoro delle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia, che hanno approvato senza modifiche il testo, da oggi in Aula per le votazioni.
Una cosa è certa, e ieri Giuliano Amato (in foto) l'ha ribadita con fermezza dopo la riunione dell'Unione nell'ufficio del presidente della commissione Affari costituzionali, Luciano Violante: «Il decreto resta così com'è – ha detto il ministro dell'Interno –. Il Governo non intende emendarlo». Dunque, dovrebbe essere approvato tra giovedì e sabato: dipende se l'opposizione deciderà di fare ostruzionismo, infatti per convertirlo in legge c'è tempo fino al 31 dicembre.
Le strade per correggere l'errore sono più d'una. E sullo sfondo resta anche quella estrema di modificare il testo, abrogando la norma anti-omofobia e rimandandola al Senato per un rapidissimo sì. Una soluzione estrema, appunto, dettata da ragioni di «deontologia costituzionale» che la Camera si sta ponendo. Ma prima di arrivarci, si stanno esplorando altre strade.
Un'ipotesi è che il decreto espulsioni, una volta approvato, sia pubblicato in Gazzetta ufficiale insieme a un altro decreto legge (il «milleproroghe» di fine anno oppure uno ad hoc) contenente l'abrogazione secca della norma sbagliata: il primo entrerebbe in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, il secondo sarebbe subito operativo.
In tal modo, tornerebbero in vita le norme vigenti della legge Mancino (come modificate nel 2004 dal Governo Berlusconi), che puniscono con 2 anni e 6 mesi di carcere (o, in alternativa, con la multa fino a 6mila euro) gli atti discriminatori; il reato di omofobia, invece, verrebbe lasciato alla proposta di legge all'esame della commissione Giustizia della Camera, che l'ha appena approvata, ma in versione soft: per ogni forma di discriminazione si prevede infatti la pena di 1 anno e 6 mesi, in alternativa alla multa. Una pena addirittura più bassa di quella attuale e ben lontana dai 3 anni di carcere che Governo e maggioranza volevano inserire nel decreto espulsioni.
L'altra soluzione allo studio prevede invece un Dl tampone che inasprisce le norme della Mancino (Dl ininfluente sui processi in corso) e che entra in vigore prima del decreto espulsioni, in modo che quest'ultimo non crei più un vuoto normativo; con il «milleproroghe», poi, verrebbero ripristinate le norme attuali della Mancino che, in quanto più favorevoli, prevarrebbero sul Dl tampone. Per qualcuno è «troppo macchinoso». Certo è che qualunque soluzione dovrà funzionare come un orologio svizzero per evitare lo stop del Quirinale.
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